‘Nacque, visse e si contraddisse’, direbbe il sommo poeta. Ed è proprio così: Nello Musumeci cambia idea alla velocità della luce. Dopo aver tirato al limite la corda delle dimissioni, ed essersi rimangiato tutto in un paio d’ore, optando per l’azzeramento della giunta, i piani sono andati di nuovo a farsi benedire durante il confronto con gli assessori di giovedì mattina: più che un azzeramento un rimpasto, ma ‘facciamo che ne riparliamo dopo l’esercizio provvisorio’. Ergo, non prima di una settimana.
In realtà Musumeci ha fiutato il clima e si è accorto da subito che non era aria: ‘Ma chi gli ha chiesto di azzerare tutto?’, è il sunto delle parole di Miccichè, che prima di infilarsi in aereo destinazione Trentino, ha smentito le ipotesi di complotto tirando fuori i soliti “sciacalletti” (che abitano – s’è capito – all’assessorato alla Salute). Musumeci, però, s’era già rimangiato tutto. E anche oggi, sabato, nel terzo giorno dopo la crisi, non sembra così convinto di procedere: “La verifica? Può essere una opportunità – ammette al Giornale di Sicilia -. Dovrà durare pochi giorni, non c’è tempo per bizantinismi”. E ancora: “Non mi piace il termine rimpasto. Sarà comunque l’occasione per definire un governo di fine legislatura. Sempre che ci siano la unanime volontà e le ragionevoli condizioni”. Il presidente della Regione, che l’altra sera tentava di prendere la parola per palesare lo scontento e annunciare l’addio, ora ridimensiona pure la versione dei suoi collaboratori più stretti: “Quanto alle dimissioni, sono solo chiacchiere da caffè. Solo un matto o uno screanzato potrebbe pensare di abbandonare la nave a mare aperto, in balìa dei marosi, in piena pandemia”. Sarà.
E’ l’ennesima capovolta del governatore, che a proposito di rimpasto ne aveva annunciato uno a maggio 2019, dopo l’esito delle Europee in cui la Lega aveva fatto la parte del leone. Lo aveva definito ‘ritocco al motore’. Non s’è mai fatto. Il Carroccio ha dovuto aspettare un anno. Alberto Samonà, infatti, diventa assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana a maggio 2020, dopo la costituzione del primo gruppo del Carroccio all’Ars (e dopo la tragica morte di Sebastiano Tusa). Anche Forza Italia ha impiegato un sacco di energie per richiedere un turnover dei propri assessori. Musumeci ha tergiversato a lungo, infine l’ha concesso. Ma non per l’intoccabile Armao, indicato da Berlusconi in campagna elettorale. Né del fidatissimo Falcone, lider maximo delle Infrastrutture. Bensì dei due che rimanevano – Bandiera e Grasso – che hanno abbandonato la scena un anno fa per concedere spazio a Scilla e Zambuto. Di cui Musumeci, adesso, farebbe volentieri a meno.
Il leader che visse e si contraddisse, però, in questa legislatura è stato l’artefice di numerose retromarce. Una delle più clamorose riguarda la soppressione dell’Esa, perorata il 19 giugno 2018 dal suo ufficio: “O votiamo le riforme o andiamo a casa” fu l’ammonimento ai deputati, anche quella volta con una diretta Facebook. “L’ultimo carrozzone della prima repubblica”, come ebbe a definirlo il presidente, è ancora vivo e vegeto. Anzi, è stato più volte smontato e rimontato finché a guidarlo non è giunto un suo fedelissimo (un altro): Giuseppe Catania, già presidente dell’assemblea di Diventerà Bellissima. Ora funziona che è una meraviglia, si dice. Ma nel corso di quel video Musumeci diede prova di aver capito l’antifona, minacciando per la prima volta le dimissioni: “Se sulla strada delle riforme il parlamento dovesse già da ora mettersi di traverso non ci sarebbe più alcuna ragione per restare al mio posto”. L’intendimento non ebbe alcun seguito, nonostante le riforme siano naufragate nell’incertezza (numerica) della sua maggioranza.
Un altro punto di svolta della legislatura poteva essere la bocciatura dell’articolo 1 della legge sui rifiuti, il fiore all’occhiello dell’amministrazione di centrodestra. Il 6 novembre 2019, con il voto segreto, la proposta viene affossata da opposizioni e franchi tiratori. Un’altra ghiotta occasione per sfoggiare modi da generale: “Il governo non andrà più in aula finché non sarà abrogato il voto segreto”, tuonò Musumeci, minacciando l’Aventino, dopo aver criticato la viltà dei deputati “che non ci mettono la faccia”. Dura lo spazio di qualche seduta, il tempo di sbollire la rabbia. Poi il voto segreto resta. Ma Musumeci torna. In tempo per un’altra sceneggiata: all’inizio della discussione sulla Finanziaria di guerra, nell’aprile 2020, Luca Sammartino chiese di utilizzare il voto segreto per affossare il governo su un emendamento. Ci riuscì, e quella volta Musumeci invocò addirittura i magistrati. Italia Viva, a quell’epoca il partito del, deputato etneo, gli diede dello “squadrista”.
Sugli stop&go del presidente della Regione si potrebbe scrivere un saggio. L’ultima farsa, per citare Claudio Fava, è l’addio di Ruggero Razza dopo la vicenda dei morti spalmati. Era marzo 2021. L’assessore, travolto da un polverone giudiziario, e indagato dalla procura di Trapani, decide di farsi da parte. Il governatore, dopo averlo incoraggiato, ne sottolinea il gesto durante un dibattito a Sala d’Ercole. Ma nel giro di un paio di mesi – sfidando la magistratura – lo invita a rientrare. E lo rinomina. Il responsabile della Sanità, su cui pende l’ira di Miccichè un giorno sì e l’altro pure, sigla un patto di ferro con il presidente. E’ la sua ombra. Il suo scudo, assieme agli altri due moschettieri senza voti: il volgare Manlio Messina, autore dei su*a su Facebook, mai redarguito pubblicamente; e l’esperto di bilanci Gaetano Armao, reduce da cinque esercizi provvisori (su cinque) e da una querelle infinita con la Corte dei Conti. Sono i principali artefici del suo destino. Quelli che l’hanno esposto al pubblico ludibrio dell’Ars. Che gli hanno fatto credere di essere – mesi prima – l’unico candidato possibile. Che non hanno saputo dissuaderlo dall’ira e dall’uso sconsiderato dei social.
A proposito di social, anche lo scrittore catanese Ottavio Cappellani è intervenuto sulla vicenda, supplicando l’intervento di un ghost writer che si occupi del profilo Facebook del governatore: “Musumeci a seguito del voto all’Ars, che, di fatto, gli ha tolto da sotto il sedere la maggioranza – ha spiegato all’Adnkronos – ha fatto un video in cui ha detto le seguenti parole: ‘Me ne frego’, ripetuto più volte, titolo di una raccolta di articoli di Benito Mussolini; ‘non devo rendere conto al parlamento ma a voi elettori’, concetto usato spesso dal sopracitato duce, e infine ‘disertori’ a coloro che non lo hanno votato come delegato per l’elezione del presidente della Repubblica. Definire ‘disertori’ chi non lo vota, evoca fedeltà al capo ed ‘epurazione’. E’ proprio vero che la storia si ripete”.