Prima di imbarcarsi per Bellaria Igea Marina, alla festa nazionale dei giovani di Forza Italia, dove avrebbe esaltato la “politica di apertura” nell’ultima campagna elettorale per le Europee (almeno in Sicilia), Renato Schifani s’è fatto ricevere al Palazzo Arcivescovile da don Corrado Lorefice, per assestare gli ultimi calci negli stinchi del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla. Uno che di recente è entrato nell’orbita azzurra, godendo dell’ottima considerazione del segretario Antonio Tajani. Qualche giorno prima Lagalla aveva reagito con stizza alle parole dell’arcivescovo, spiegando che “Palermo non è la capitale del crimine, non facciamoci del male da soli”. Schifani ha approfittato di questa faglia per farsi ricevere dal prelato e rilanciare (ufficialmente) l’iter della legge sul crack, ferma da un anno all’Assemblea regionale. Quasi a voler rimarcare una differenza, in termini di sensibilità, col primo cittadino: iniziativa strumentale, se vogliamo; o meramente strategica, giacché nell’aperturismo di FI sbandierato a Bellaria, per Lagalla non sembra esserci posto.
La partecipazione del sindaco a un appuntamento organizzato da Tajani e Cirio, governatore del Piemonte, alla vigilia della campagna elettorale, aveva provocato l’ennesimo rancore di Schifani nei suoi confronti. Che, assieme alle ingerenze sulla conferma di Marco Betta al Teatro Massimo e ad altri episodi più o meno noti (come l’accoglienza a un tycoon giapponese in città o le critiche, pesantissime, nei confronti dell’amministratore unico di Amat per il piano di razionamento idrico) ha finito col provocare una frattura impossibile da ricucire. Una sensazione rafforzata dal fatto che lo stesso Schifani, prima di mettere piede sul volo Ryanair diretto a Rimini, ha fatto rilevare l’assenza di aria condizionata sulla navetta che lo accompagnava all’aereo (“Un pessimo biglietto da visita per le migliaia di cittadini e turisti”). Non si è trattato di un semplice monito da parte di Renato “aggiustatutto”, ma di una scossa nei confronti di Gesap, la società di gestione dell’aeroporto Falcone-Borsellino che il governatore si batte per privatizzare (ma non prima di aver ottenuto un’altra nomina nel posto lasciato vacante da Riggio: quello di Amministratore delegato).
Ogni parola, in questo rapporto fatto di tensioni, andrebbe soppesata. Perché rivela un significato ulteriore. Gli sponsor di Lagalla in Forza Italia non mancano. Tra questi Giorgio Mulè, che in un’intervista a Repubblica, ha evidenziato come “Roberto è parte integrante del progetto di avvicinamento di Forza Italia ai civici. Non solo c’è un dialogo, c’è un’interlocuzione continua”. Parole che provocheranno l’orticaria a Schifani, invitato piuttosto a “un bagno d’umiltà”: “Vorremmo un confronto col presidente della Regione e con la segreteria, evitando il bianco e il nero, gli amici che hanno votato un candidato e i nemici che ne hanno votato un altro”, ha detto Mulè.
Più che un partito votato all’inclusione, Forza Italia, in Sicilia, appare in tutta la sua disperazione. Da un lato una segreteria farlocca, che di fatto non esiste, sorretta dal ventriloquo Marcello Caruso, lo stesso che non è riuscito a trovare una mediazione sulle norme che stavano a cuore al centrodestra (salva-ineleggibili e province) né sulle nomine dei direttori sanitari e amministrativi della sanità; dall’altra un’opposizione crescente, una falange rumorosa, che annovera al suo interno protagonisti indiscussi della vita del partito. Basti pensare a Marco Falcone, migrato in Europa per cause di forza maggiore (l’elezione a Bruxelles) dopo aver mandato giù troppe delusioni, compreso lo “scippo” della delega alla Programmazione quando era assessore al Bilancio; al deputato Tommaso Calderone, ferocissimo nelle critiche all’ultima manovrina che ha assegnato 80 milioni di mance agli amici degli amici; alla sindaca di Montevago e deputata dell’Ars, Margherita La Rocca Ruvolo, da sempre molto critica sulla gestione della sanità. Persino un soldato semplice come Pellegrino, dietro l’apparenza di difensore d’ufficio, si sarebbe accorto che la nomina dei tecnici in giunta è un oltraggio al gruppo dell’Assemblea regionale che lui stesso dirige.
“Il ricorso ai tecnici è già una sconfitta – ha evidenziato Mulè – come se nessuno dei parlamentari fosse in grado. Non va bene. Se costruiamo una classe dirigente per portarla al governo, poi dobbiamo essere consequenziali”. Il vicepresidente della Camera ha chiesto al commissario Caruso la convocazione di un incontro coi deputati nazionali e regionali del partito, ma anche coi sindaci e i coordinatori, per capire da che parte andare. Ma soprattutto per dare la possibilità a Schifani di esporsi. Si tratterebbe del secondo vertice ad altissima tensione dopo quello convocato per il 20 settembre, su iniziativa del Mpa di Lombardo. Segno che non tutti ormai, sono disposti a subire le decisioni e le prepotenze di un “cerchio magico” che, facendo leva sul consenso ottenuto alle ultime Europee (il 23%) crede di poter fare del dibattito interno carne da porco.
Peraltro, come ampiamente noto, il risultato di Forza Italia dell’8 e 9 giugno è maturato anche grazie ai voti di Lombardo, Cuffaro e Romano, che hanno sostenuto alcuni dei candidati nella lista compilata da Tajani. Dove figurava anche Edy Tamajo: questo è un altro aspetto della vicenda che per il momento rimane in sospeso. Nonostante le ambizioni personali, il pressing dei fedelissimi e un orizzonte già segnato, l’assessore alle Attività produttive per il momento sceglie di rimanere nei ranghi, garantendo l’appoggio a Schifani fin quando deciderà di restare al timone. Con questi venti di burrasca, però, anche il capitano più temerario rischia di deragliare. E il partito assieme a lui.
Tajani contro Mulè: “Dimostrate di avere i consensi”
“Lo dico a tanti che parlano sui giornali per avere una vetrina: partecipate ai congressi, candidatevi alla guida del partito, dimostrate di avere consensi. Ci sono i luoghi di confronto per poi contarsi. Contarsi sui giornali a chi fa più interviste non è un buon modo, se poi le interviste si fanno solo per parlare male di quelli del tuo parttito diventa controproducente. Per fortuna abbiamo quasi totalmente debellato questo sistema, le beghe interne sono scomparse nel 99% dei casi”. Lo ha detto, parlando davanti alla platea dei giovani di Forza Italia, il segretario e vicepremier Antonio Tajani. Il riferimento è all’intervista del vicecapogruppo Giorgio Mulé che in un’intervista a Repubblica ha criticato il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani.
“A livello nazionale – è la replica di Mulè – abbiamo celebrato un congresso soli pochi mesi fa, a febbraio, con un mandato chiaro nei confronti di Antonio Tajani. Questo non significa rinunciare a esprimere le mie idee, anche critiche, riguardo alla situazione di Forza Italia in Sicilia dove in tutti questi mesi sono mancate le occasioni di confronto interne al partito e anche sulla situazione della giunta e dei nostri alleati”. “Confrontarsi e discutere, anche animatamente, non significa puntare a detronizzare il re. Non dobbiamo per forza puntare a ruoli apicali – aggiunge Mulè – per misurare il consenso e quindi per poter esprimere le proprie idea. Non siamo una caserma e non dobbiamo diventarlo. Ma anzi il dibattito sulla gestione siciliana serve ad arricchire Forza Italia, senza chiudersi nelle logiche del capo assoluto che comanda senza confrontarsi con nessuno”.