L’ultimo schiaffo alla povertà infrastrutturale della Sicilia è arrivato qualche giorno fa a palazzo d’Orleans, quando la giunta Musumeci, riunita d’urgenza per far fronte alle criticità di una Finanziaria anti-Covid da sbloccare, ha approvato una delibera che prevede la rimodulazione di 399 milioni di risorse extraregionali. Fondi Fesr (fondo europeo di sviluppo regionale) e Poc (piano operativo complementare) destinati per lo più ad investimenti. E gli investimenti più importanti, nell’Isola, si chiamano infrastrutture. Dalla lista della spesa, il presidente Musumeci e l’assessore all’Economia, Gaetano Armao, hanno scelto di depennare alcune opere non più strategiche (non c’è altra spiegazione), promettendo a se stessi di riproporle nel momento in cui dovessero arrivare soldi freschi: le più importanti sono l’anello ferroviario di Palermo, i cui cantieri da anni tengono paralizzata la città; il raddoppio della rete ferroviaria da Castelbuono a Ogliastrello, sempre nel Palermitano; e la realizzazione del porto di Gela, un’opera da 110 milioni che per il momento è finita insabbiata (come le barche che si destreggiano nell’attuale porto-rifugio della città del petrolchimico).
Ma è il panorama, nel complesso, ad essere infausto nei confronti delle piccole e grandi opere. Le decisioni assunte in giunta stonano rispetto al quadro generale: Musumeci, il mese scorso, ha avviato una vertenza con Anac per le negligenze dell’azienda di Stato su alcune arterie strategiche (la A19 Palermo-Catania, in primis); e ha rilanciato l’impegno del Cas (riesumato dall’oblio degli ultimi anni) per il completamento di alcune infrastrutture come la Siracusa-Gela (nei prossimi mesi verrà consegnato il lotto fino a Ispica). E mentre lo stesso governatore, con un’altra delibera, aveva chiesto al governo nazionale di commissariare dieci grandi opere di cui la Sicilia necessita come il pane (tra cui la Ragusa-Catania, la linea ferroviaria Trapani-Palermo via Milo, la strada degli scrittori da Caltanissetta ad Agrigento e la SS 189 da Agrigento a Palermo), con l’altra mano ha di fatto cancellato 41 progetti – relativi a infrastrutture, dissesto idrogeologico, rifiuti ed energia – con l’attenuante che non risultano immediatamente cantierabili o che “non sono puntualmente individuati”, ma anche quegli interventi senza risorse né accertate né impegnate nel bilancio regionale o per i quali non c’è l’anticipazione del 10% garantita dallo Stato.
Questi ultimi – i 41 progetti – fanno parte del cosiddetto Patto per il Sud siglato alla Valle dei Tempi, qualche anno fa, dall’ex premier Matteo Renzi e dall’ex governatore Rosario Crocetta. Un libro dei sogni rimasto tale. Valgono 140 milioni di euro, di cui 28 originariamente impegnati per infrastrutture viarie e ferroviarie. E che adesso verranno utilizzati per un’altra causa: il contributo regionale alla finanza pubblica. Risanare il bilancio dello Stato ci costa un miliardo l’anno. In pratica, come avvenuto per il capitolo “Finanziaria”, il governo regionale ritaglia denaro agli investimenti – previsti dalla programmazione comunitaria 2014-2020 – e lo trasforma in spesa corrente, per far fronte alle “pendenze” accumulate negli anni dalla Regione. Così accade che il Dipartimento delle Infrastrutture, di sua sponte, rinunci all’intervento di messa in sicurezza delle gallerie Capo Calavà, per 15 milioni, nella tratta Messina-Palermo; e a una parte di fondi per l’intervento sul viadotto Akragas, sulla Statale 115, che passa da 11 a 6 milioni. Anche la viabilità locale ne risente: sono stati eliminati alcuni interventi su tre strade provinciali a Palermo e su un tratto della Sp 34 a Portella della Ginestra.
Questo “taglio” è stato il frutto di settimane di riflessione, che hanno visto impegnata una task force guidata da Eugenio Ceglia, il capo di gabinetto vicario del presidente della Regione, ma anche la Ragioneria generale e il dipartimento alla Programmazione. Meglio – secondo il governo – era impossibile fare. Anche se a dover pagare questi sacrifici, ancora una volta, saranno i siciliani, quei “territori” che stanno tanto a cuore ai deputati regionali. Ma che proprio non si riesce a salvaguardare dalla nuova e sopraggiunta esigenza (eufemismo) di “mettere a posto i conti”. Fra l’altro, la situazione infrastrutturale in Sicilia è molto complessa: i due cantieri-simbolo della stasi sono quelli che sorgono lungo la Agrigento-Caltanissetta (la cosiddetta “strada degli scrittori”) e la Palermo-Agrigento. Di entrambe si occupa la Cmc, il colosso ravennate che per poco non è finito in bancarotta e fatica a mandare avanti i lavori sulle due direttrici.
La statale 640, il cui progetto definitivo è stato affidato nel 2001, ha visto più che raddoppiare i propri costi: inizialmente stimati in 618 milioni di euro, hanno superato il miliardo e mezzo. Oggi, sui 37 chilometri che separano Grotta Rossa dall’imbocco dell’autostrada (in totale sono 70), lavorano una trentina di operai. Ma come segnalato a Repubblica da Francesco Cosca, responsabile della Fillea Cgil, “di fatto i cantieri sono fermi, non solo perché la Cmc è andata in crisi e non vuole cedere pezzi dell’appalto, se non in subappalto, ma anche perché ci sono problemi strutturali”. Rispettare la scadenza del 2022, già fissata dal viceministro Giancarlo Cancelleri, è quasi “impensabile”.
Va persino peggio sulla Palermo-Agrigento, che doveva diventare una strada a quattro corsie. Oggi si lavora solo sul tratto da Lercara a Bolognetta, ma il resto del percorso (da Bolognetta a Palermo, e da Lercara ad Agrigento) non ci sono nemmeno le risorse per completarlo. Per percorrere l’arteria – con sette deviazioni e cinque semafori – sono richieste quasi tre ore: ma di che parliamo? Ecco perché alla luce di questi fatti, suona sempre e comunque maldestro (e per niente legittimo) lo “scippo” ai danni degli investimenti infrastrutturali, che, fra l’altro, nemmeno lo Stato centrale è riuscito a garantire nella misura del 34% che la legge prevede per il Mezzogiorno d’Italia. Ma questa è un’altra storia e rischia di allontanarci troppo dall’analisi in corso.
Che, piuttosto, andrebbe rafforzata con un esempio: Gela. La riprogrammazione dei 140 milioni del Patto per il Sud, operata da Musumeci e Armao, sfila alla città nissena e a Termini Imerese 16,6 milioni (oltre ai 48 di qualche mese fa), che sarebbero serviti alla riqualificazione e riconversione dei poli industriali. Ma non è tutto: l’ex città di Rosario Crocetta verrà privata di un investimento da 3 milioni per la realizzazione della seconda metà del lungomare. “E’ un’opera molto sentita – spiega il deputato gelese dei Cinque Stelle, Nuccio Di Paola – La prima parte fu completata grazie a un progetto che il Comune si fece finanziare dalla Cassa depositi e prestiti. La seconda, finanziata dal Patto per il Sud, era già in fase avanzata. Mancano soltanto il progetto esecutivo e il bando. Per questo lo considero uno scippo. Il Comune ci aveva già investito dei soldi e, per un’area di crisi complessa come Gela, può essere considerata un’opera strategica capace di attrarre turisti e nuove attività commerciali. Mancano visione e programmazione. Così rischi di ammazzare un territorio.”.
“Nei confronti di Gela è in corso un accanimento senza precedenti – spiega il parlamentare grillino – Qualche mese fa, per l’assenza di progettazione esecutiva, erano già stati sottratti 33 milioni. Stai togliendo prospettive di sviluppo a un’area da centomila abitanti. Non è che se hai il dente avvelenato con Crocetta e Lumia, ti accanisci contro un territorio”. Un altro capitolo riguarda il progetto di ampliamento del porto. Vale, sulla carta, 110 milioni di euro e prevede lo stravolgimento dell’attuale struttura: ossia un porto-rifugio, a tratti insabbiato, da cui le navi non riescono ad uscire. Cinque anni fa era stato approvato un mini-progetto da 5,5 milioni (come opere di compensazione previste da Eni per la riconversione del petrolchimico in un impianto green), per drenare la sabbia in eccesso e allungare la barriera frangiflutti. Non ha mai visto la luce.
“Il mega progetto da cento milioni, invece, si è rivelato un mero strumento di campagna elettorale – obietta Di Paola – A Bruxelles non hanno ricevuto nemmeno la scheda tecnica”. Non è dello stesso avviso Michele Mancuso, calatino doc e deputato regionale di Forza Italia: “Le risorse per il porto commerciale saranno appostate a cavallo di due programmazioni europee, quindi non si perderanno – assicura –. C’è già un cronoprogramma che prevede l’inizio dei lavori per il primo ottobre 2022”. Mentre la gara dovrebbe essere aggiudicata, al netto dei ritardi, entro il 31 maggio dell’anno prossimo: “Il progetto che interessa la funzionalità della struttura potrà essere completato entro il 2023, o anche dopo. Magari non si spenderanno tutti i soldi, ma una buona parte sì”. Secondo Mancuso ci sono un paio di verità inossidabili: che la precedente programmazione è stata costruita “soltanto sulla base delle parole” e che quando s’è insediato il governo Musumeci, “la Regione, sul tema delle infrastrutture, era reduce da cinque anni d’immobilismo”. Il fatto nuovo, però, è che non si sorprende più nessuno nel veder privare un territorio delle risorse già assegnate. “Laddove non ci sono previsioni di finanziamento giuridicamente vincolanti – è la conclusione pacifica del deputato di Forza Italia -, le amministrazioni decidono di destinare le somme all’emergenza”. Anche (e soprattutto) in Sicilia.
Gela: Musumeci rassicura il sindaco Lucio Greco
Per il Porto Rifugio, il presidente ha comunicato che, una volta arrivato – entro settembre – il parere definitivo del ministero dell’Ambiente, il dipartimento delle Infrastrutture potrà pubblicare il bando di gara. Un’altra opera importante per Gela è la tangenziale (313 milioni di euro): si è in attesa del progetto definitivo che l’Anas sta aggiornando. Mentre è in fase di esecuzione la realizzazione del sistema di video sorveglianza dell’Area industriale e dell’impianto di illuminazione.