Il nemico numero 1 della contentezza sarà contento abbastanza d’andare alla Mostra del Cinema. Contentissimo magari no, ché è superlativo che non gli si addice, quasi un azzardo per un intellettuale disorganico, fuori dal coro e dalle regole, per un cineasta che cammina spesso carico di buste del discount e rifugge inaugurazioni con segue buffet e si è fatta la fama di malo carattere anche al di là delle sue naturali spigolosità e invece riesce ad essere persona gradevolmente ironica e ridanciana. Franco Maresco porta a Venezia, in gara nella selezione ufficiale, e affiancato per i colori italiani ad altri due cineasti – uno altisonante come Mario Martone, l’altro di nicchia come Pietro Marcello – un film che è già tutto un programma dal titolo, La mafia non è più quella di una volta, affidandosi ai produttori di sempre, più una caterva di associati, ai sodali tecnici di sempre, distribuito ancora una volta dall’Istituto Luce e venduto all’estero da Fandango.
Il film verrà proiettato in anteprima al Lido, poi uscirà nelle sale, l’artista è blindato dalla produzione e dall’ufficio stampa, per ora non parla, a meno di qualche titolata esclusiva. Nulla di nuovo sotto il sole, a leggere la sinossi della pellicola, per quel che riguarda la tesi che Maresco – da quando si è separato artisticamente e non solo da Daniele Ciprì e i loro personaggi di Cinico Tv sono diventati orrori di culto museali come le mummie dei Cappuccini (cinematograficamente parlando perché la realtà cittadina li contempla ancora ogni dì) – va cercando di dimostrare e cioè che la Palermo reinassance è un po’ tutta fuffa, che la città avrà magari abbellito la vetrina ma bottega e retrobottega mica sono cambiati così tanto.
Geniale come tutti i cinici, Maresco affianca due personaggi antitetici, Letizia Battaglia e Ciccio Mira, ovvero la fotografa che con il suo obiettivo ha testimoniato nel mondo gli orrori della mafia ma si è anche impegnata in prima persona, attraverso la politica, nel riscatto civile della città, e l’impresario delle feste di piazza (genere caro al regista da quando era ancora Ciprì&Maresco e saltò fuori quel capolavoro che era Enzo, domani a Palermo con Enzo Castagna), palcoscenico su cui spesso confluivano ambizioni artistiche e interessi legati proprio alle famiglie mafiose e alla loro occulta economia. Due anime candide, ognuna a suo modo: la cronista per immagini agguerrita e utopista, il produttore di cantanti – panormo-partenopei, negli ultimi decenni target neomelodico – che tenta di candeggiare un’attività artistica che per decenni è sottostata ad altre che di artistico avevano ben poco.
E’ la quarta volta per Maresco a Venezia: la prima fu nel 2003 con Il ritorno di Cagliostro firmato con Ciprì, poi ancora “in ditta” per Come inguaiammo il cinema italiano l’anno successivo, omaggio a Franchi e Ingrassia, infine da solista con Belluscone nel 2014 (anche di questo era protagonista Ciccio Mira) ma sempre in sezioni collaterali alla gara ufficiale. Questo, per il sessantunenne regista palermitano, è l’esordio in competizione nel cartellone principale della rassegna. Nella speranza che il film faccia discutere al di là delle solite, ormai noiosissime beghe tra amici e nemici della contentezza.