Fratelli d’Italia, in Sicilia, è il partito chiave per dirimere la questione interna al centrodestra sulla ricandidatura di Nello Musumeci a palazzo d’Orleans, ma è anche quello più in crescita. L’unico, forse, a poter dire di aver vinto alle Amministrative di domenica e lunedì scorsi. Le liste della Meloni sono state le più apprezzate nell’ambito della coalizione di governo. E anche le più presenti. A Vittoria, l’unica piazza dove Giorgia s’è comodata per lanciare la candidatura a sindaco di Salvo Sallemi, Fratelli d’Italia ha superato il 17%. A Rosolini, dove Tino Di Rosolini va al ballottaggio, ha preso il 15,2% in una lista “condivisa”. A Pachino – dove ha eletto il sindaco Natalina Petralito – si è fermata al 14,8%. E anche se altrove i dati, tendenzialmente, sono sotto la media nazionale (si va dall’8,6% di Favara al 4,6 di San Cataldo), è lecito affermare che la destra siciliana gode di discreta salute. E che la Meloni, in questa fase storica che la vede sotto assedio, recita il ruolo che fu di Salvini nel 2019, a cavallo della prima esperienza gialloverde. Riesce a muovere un discreto voto d’opinione anche nelle tornate più localistiche. Un forte indizio per le Regionali e, ancora di più, per le Politiche.
Fratelli d’Italia, oltre a rappresentare un baluardo della destra alternativa alla Lega, è al momento l’unica forza d’opposizione nel Paese. E questo fatto, oggettivo, “sposta” parecchio. Nonostante tutte le criticità del momento, che hanno visto la Meloni al centro di un tritacarne mediatico: per l’inchiesta di Fan Page relativa ai finanziamenti della campagna elettorale a Milano e alla vicinanza con il gruppo neofascista di Lealtà Azione; e per la difficoltà a individuare la matrice dell’attacco di Forza Nuova alla sede romana della Cgil. Spendere una parola in più contro il fascismo, forse, avrebbe evitato una gaffe all’ex ministro Provenzano, oggi vicesegretario del Pd, che ne aveva segnalato l’ambiguità e il riposizionamento fuori dall’arco costituzionale (salvo poi correggere il tiro: “Nessuno si sogna di dire che FdI vada sciolta”). E avrebbe permesso alla Meloni di rifiatare. Il gioco al massacro, a cui l’ex ministro della Gioventù non fa nulla per sfuggire, rischia (alla lunga) di diventare logorante. Ma rappresenta un ulteriore serbatoio di voti che potrebbe dare i suoi frutti. Forse alcuni li ha già dati.
I prossimi mesi, in Sicilia, sono quelli della verità. Sanciranno una linea di confine fra il partito-tappetino, dove Musumeci vorrebbe piazzare i suoi uomini grazie a liste condivise alle Regionali del 2022 (ottenendo, di conseguenza, il via libera per un mandato bis); e il partito di rottura, capace di imprimere una nuova direzione al centrodestra – ma anche di tenerlo unito – dopo quattro anni buttati via. La lealtà di Fratelli d’Italia a questo governo si misura nelle dichiarazioni dei suoi protagonisti (il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, l’ha ribadito più di tutti), mentre il malessere si misura nelle cose che all’esterno arrivano solo in parte, grazie al filtro della stampa. Come la famosa riunione di qualche settimana fa in cui – tra coordinatori, segretari provinciali e deputati vari – fu sostanzialmente bocciata l’idea di una federazione con Diventerà Bellissima. Qualche giorno dopo, in un’intervista a ‘La Sicilia’ l’europarlamentare Raffaele Stancanelli chiarì i contorni della proposta: “Alle Regionali noi ci presenteremo con i nostri uscenti, ma anche con tanti amministratori locali, giovani e donne che credono nei valori e nei programmi del partito. Vale la pena far sì che le liste di FdI siano cannibalizzate dai deputati di Musumeci? È una scelta che va ponderata”.
Così come andrà ponderata la possibilità di concedere a Musumeci una seconda vetrina. Il presidente della Regione, da tempo in rotta con Salvini, punta sulla Meloni per assicurarsi il ‘lasciapassare’. Gli serve un big sponsor da esibire al tavolo delle trattative, o rischia di andare a sbattere. Ma è altrettanto vero che Giorgia, senza la sponda degli alleati, non può fare miracoli. Salvini basa tutto sul criterio dell’equa spartizione, della serie “la Puglia a te, la Sicilia a me”, e così via. Anche se gli ultimi risultati della Lega alle Amministrative – quelle siciliane rientrano nel pacchetto – potrebbero ridimensionare le sue pretese. Il quadro è in continua evoluzione, passa dai vertici romani, e comunque vengono prima le Amministrative di Palermo, dove FdI non ha alcuna voglia di rimanere a guardare. L’ipotesi Lagalla al partito non va a genio, così potrebbe tornare d’attualità il nome di Carolina Varchi, deputata alla Camera. Poi bisogna capire il perimetro entro cui muoversi, chi ci sta e chi no. E la tenuta di un gruppo che tutti descrivono molto unito, al netto delle solite schegge impazzite.
E’ il caso dell’assessore regionale al Turismo, Manlio Messina, protagonista negli ultimi mesi di un’escalation di episodi al limite dell’assurdo: prima l’endorsement per Musumeci-bis e l’invito, ai partiti che non lo sostenessero, di uscire dal governo (neanche il presidente ci aveva ancora pensato); poi gli epiteti ai giornali, le strane teorie sui vaccini e il torpiloquio sui social; ma anche l’accusa di carboneria (poi ritrattata) nei confronti di Stancanelli durante il vertice per discutere della federazione, in cui si dimostrò l’unico a favore; infine, la storia della tangente rifiutata dal suo segretario particolare per l’organizzazione di un evento a Taormina, che ha rilanciato il prode assessore sulle testate nazionali, con annesse le interviste di rito sul valore della legalità e della trasparenza. In mezzo a tutto ciò i selfie in macchina (prima del comizio a Vittoria) con la Meloni, cui ha permesso – con l’epica denuncia della mazzetta – di ritrovare smalto dopo le accuse di connivenza con gruppi neofascisti in Lombardia. L’esempio puritano di cosa vuol dire governare bene.
L’assessore Messina scommetterebbe su Musumeci anche oggi. Se dovesse andar male – si vocifera – potrebbe volare a Roma e occupare un seggio da deputato. L’ipotesi, per la verità, resta tangente ai fatti della politica siciliana. Che dalla prossima campagna elettorale dovrà trarre spunto per organizzare il futuro. Un futuro in cui Fratelli d’Italia, che oggi dai sondaggi è accreditato come primo partito a livello nazionale, vuole e deve essere protagonista. Prima, però, dovrà sganciarsi da quest’aura di santità (e fedeltà) eterna, giocando a carte scoperte. Non è un mistero che il rifiuto di una federazione nel lontano 2019, alla vigilia delle elezioni Europee, non depone a favore di una reunion con Musumeci; né il rapporto fra Stancanelli e il governatore (che non si salutano nemmeno più dopo quello sgarbo) sembra far propendere verso questa soluzione. Ma le vie della politica sono infinite, e nessuna è impraticabile. La Meloni tornerà a parlarne col diretto interessato, cercando di capire pro e contro, prima di effettuare un passaggio – scontato e chiarificatore – con i dirigenti locali di FdI. Anche se da fonti interne filtra chiaro un messaggio: ben venga il confronto, ma è lei che decide. Senza rancori, va da sé.