I plastici languono nel buio di un magazzino di via Teulada. C’è quello di Cogne che è tanta la polvere che si è depositata sul balconcino in miniatura che nemmeno una nevicata seria avrebbe messo così a rischio il balconcino vero di casa Lorenzi-Franzoni con vista sul Gran Paradiso. Teresa De Santis, direttora di Raiuno, avrebbe voluto fortemente Bruno Vespa e il suo «Porta a porta» in queste sere di vuoto governativo, di incertezza istituzionale, di politici che sgusciano da un portone e si imbucano in un altro, due vicoli avanti, inseguiti dalla truppe microfonate e accaldate. Vuoi mettere la credibilità di un Vespa con quella un conduttore & graziosa partner di un programma del day-time, uno che con faccia seria chiede all’ex ministro, all’ex capo dell’ex maggioranza, al capogruppo di un gruppo che non sa nemmeno se resterà raggruppato, un parere sui destini del Paese nemmeno 24 ore dopo aver chiesto all’attrice agé di passaggio «lei è sempre stata contraria ai ritocchini, vero?». Altra storia, il Bruno nazionale. E così la direttora – reduce da un tour americano per studiare nuovi format di intrattenimento, in trasferta con la Milly Carlucci – s’è accontentata di Francesco Giorgino, il quale ha fatto la sua parte con applicazione da scolaro diligente.
D’altronde, se una crisi politica agostana mette in straordinaria difficoltà un uomo probo come Mattarella, figuriamoci se non mina la certezze nell’informazione televisiva, negli speciali e nelle edizioni ordinarie dei telegiornali depauperati di forza lavoro temporaneamente trasformata, lontano dalle redazioni, in sbracamento vacanze. L’impressione comunque è che, anche se fosse stata sovraccarica di teste e cervelli secondo l’organico ordinario, sarebbe andata lo stesso così per la liturgia del piccolo schermo in tempo di crisi.
La scaletta dei tg potresti recitarla a memoria come il Santo Rosario brandito da Salvini: si slargano soltanto un po’ i sommari che fino a qualche settimana fa erano dedicati prevalentemente all’asse Salvini-Di Maio (autentici campioni di presenze con interventi spesso presi di peso dalle loro pagine social) e adesso devono giocoforza comprendere un po’ tutti con imbarazzanti salti di montaggio che azzeccano raramente il nome con l’immagine per cui chi è già in età avanzata ne fa un fatto di vista e udito malmessi invece di attribuirne la colpa ad un sincrono quasi impossibile anche per il più navigato dei montatori. Seguono collegamenti da, interviste a (superfluo il controllo del minutaggio), appostamenti presso, analisi di e via litaniando. Perfino il fibrillante Mentana, in servizio permanente effettivo-ossessivo-compulsivo nella sua La7, con le sue maratone, non dà più quel brivido degli esordi, anzi sembra tutto dejà-vu come nei cinque atti del «Romeo e Giulietta» di Shakespeare, amore-duelli-morte, applausi.
Ma anche i 24h dell’informazione non sono da meno: nell’arco di poche ore la dichiarazione di Salvini passa una ventina volte, così come quella di Di Maio (toh, ancora loro), uguale trattamento per quelle di Zingaretti, Renzi, Berlusconi, Meloni ed altri minori pedissequi. Non è par condicio, equità, la famosa ormai obsoleta obiettività, è solo una meccanica heavy rotation che dopo 3/4 passaggi conosci già a memoria i passi salienti («zitto zitto, adesso gli dice imbroglione, proprio qui, ascolta…») come fosse il refrain di una canzone della Pausini. Artificiosamente meno ingessati delle news costrette da palinstesto dentro il tabernacolo della mezzora (o dei dieci minuti o dei sessanta secondi), i 24h eccellono soprattutto nelle diagnosi e nelle terapie, ovvero nelle analisi della situazione affidati, nel corso delle ore, da mattino appena iniziato a notte quasi fatta, ad opinionisti di ogni materia (politica, sociale, economica, filologico-linguistica, psicologica, filosofica, nazionale o estera, con o senza filtro) che vanno e vengono dai loro studi con una velocità ed una intercambiabilità che la porta girevole di «Grand hotel» con Greta Garbo al confronto è antica come la ruota.
Immancabili i giornalisti che, collegati o in studio, sono il più indomito avamposto di questa task force di commentatori 24h, dotati non solo di capacità di interpretazione ma – dal momento che l’ego della categoria è pari alla lunghezza della Grande Muraglia – anche di arti divinatorie. Ormai non c’è nemmeno più l’ombra dell’imbarazzo ma quasi un darsi di gomito quando scappa, fintamente furtivo, un «tu che lo conosci bene…» a proposito di questo o quell’altro politico del quale magari il collega ha firmato a quattro mani la biografia. L’altra sera, interrogato come un aruspice, un vicedirettore pronosticava le tre o quattro mosse che avrebbe compiuto Salvini nelle ore successive, un po’ Cassandra, un po’ orbo veggente, un po’ Mago Otelma. Mancava all’elenco la rivelazione di un quarto segreto di Fatima che forse gli avrebbe potuto suggerire al telefono il suo vicepremier di riferimento che, a quanto lui stesso garantisce, ha forti aderenze lassù.