Le fotografie scattate su dodici set cinematografici ambientati in Sicilia – da Il Gattopardo di Luchino Visconti alla Malèna di Giuseppe Tornatore – che finiranno esposte all’interno di una mostra da 2,2 milioni, sono l’ultimo specchietto per le allodole pensato dal prode assessore di Fratelli d’Italia, Manlio Messina. Il cavaliere del suca, passato alla storia per le panzane sul Covid, per aver ritratto l’ex premier Conte con le manette, per le parolacce ai giornali e ai detrattori, per aver rischiato una mozione di censura da parte della sua stessa maggioranza (dopo le accuse a un sindaco sui social), e per aver “congelato” l’Orchestra Sinfonica Siciliana nella gestione commissariale, ecco, quel Manlio Messina lì, si è arrogato il privilegio di spendere una montagna di soldi mentre a palazzo dei Normanni si fatica a trovare la quadra su come spartire i centesimi.
La Sicilia sbarca al Festival di Cannes, e secondo l’assessore al Turismo questo accostamento serve a giustificare il tutto. La questione, portata in auge da Repubblica e da un’interrogazione parlamentare di Anthony Barbagallo (Pd) è tremendamente seria. L’operazione, dal valore di 2,2 milioni di euro, è stata approvata a metà aprile. Il progetto, presentato da una società lussemburghese che organizza gli eventi in Costa Azzurra per conto di Mastercard, prevede un sacco di voci abnormi: a partire dai 250 mila euro riconosciuti a Patrick Moja, curatore della mostra; o dei 253 mila euro per l’affitto dei padiglioni; o i 564 mila per gli allestimenti. Ma c’è una voce che fa scalpore più delle altre. I 219 mila euro destinati a “ufficio stampa e comunicazione”. Uno sperpero immotivato.
Ma la cosa peggiore è che, anziché scusarsi, Messina si giustifica: “Non sono fondi regionali, sono fondi europei che abbiamo a disposizione proprio per la promozione turistica”. Come se il fatto di poter contare su risorse extraregionali giustificasse qualunque spreco. Come se la vena provincialista di un assessore che nessuno ha mai eletto (ennesimo esponente della lista dei “senza voti” al servizio di Musumeci) potesse spingersi fino al punto di sdoganare un’idiozia: che l’importante è spendere i soldi che ci dà l’Europa, non importa come. L’assessore, che il dem Nello Dipasquale aveva ribattezzato “assessore Gadget” a seguito dell’acquisto di magliette e cappellini su cui apporre il logo della Regione (in piena pandemia), ha previsto di poter dirottare sul red carpet di Cannes una cifra mostre perché “stiamo facendo un lavoro sul cineturismo per attrarre investimenti in Sicilia”.
Non contempla, Messina, che in tempi di vacche magre è opportuno morigerare i canali della spesa, specie se quelle risorse non sono tue, ma una benedizione di Bruxelles. Specie se questa Regione, così vituperata, vuole coltivare una speranza di futuro. Parole che diventano carta straccia di fronte a una classe politica che rischia di trovare nel catanese Messina il suo elemento di pregio e di spicco. Ma è davvero questa la nuova classe dirigente, allevata da Nello Musumeci, che cerca di mettere le mani sulla Sicilia dei prossimi vent’anni? E’ questa la classe dirigente che non ha contezza del momento storico e delle difficoltà? Che usa i soldi della Regione – che provengano o meno dall’UE – come un salvadanaio per lucidare di tanto in tanto il proprio ego? Ma soprattutto, è con questi soggetti che la Meloni si prepara a governare il Paese e la Sicilia?