Con un giorno d’anticipo rispetto al primo anniversario dalla sua scomparsa terrena – 17 luglio 2019 – Andrea Camilleri, scrittore e artista, torna in questa vita con un libro, Riccardino, dove Salvo Montalbano, l’assoluto eroe che non conosce svenevolezze si permette il lusso di una lacrima.
L’autore, dunque, si presenta e porta al proprio pubblico l’ultimo atto del più popolare tra i personaggi creati dalla letteratura contemporanea.
E succede oggi, alle prime luci del giorno, celebrando Riccardino, con Antonio e Olivia Sellerio – eredi di Elvira ed Enzo, fondatori del catalogo editoriale che da quarant’anni accompagna il successo di Camilleri – con i lettori, o con le voci terragne di Gigi Borruso, Filippo Luna, Salvo Piparo e Vincenzo Pirrotta, immensi attori, nel segno della posteggia da strada, il teatro da cui hanno origine tutti i teatri, televisione compresa, col libro che fa da sigillo a tutti e trenta i libri del commissario di Vigàta: uno spettacolo di meningi, di umori e di sorprese.
Montalbano scopre che Riccardino se la faceva, a giro, con tutte le mogli dei suoi tre amici. Glielo rivela la moglie tedesca, sposata solo perché talmente brutta da dovergli essere grato in eterno, così da costruire la sua rispettabilità e permettergli di fare il mandrillo. I tre moschettieri – così sono intesi dal commissario questi amici – sono come una corona di topi legati per le code che non si riescono a sciogliere, devono sopportare che Riccardino li faccia cornuti con le proprie mogli fin quando uno di loro rompe il cerchio e lo ammazza. Ovviamente c’è ben più. Ed è un altro gioiello consegnato a suo tempo a Elvira Sellerio, “amica del cuore”, ma Camilleri che l’ha voluto ultimo facendone tanti altri nel frattempo, in questa sua orchestrazione postuma è ben più che l’autore, è il Deus ex Machina giunto al traguardo di tutti i più beffardi capricci. Camilleri si fa “personaggio” esso stesso e fa il verso al proprio destino di scrittore: “I miei libri si vendono al supermercato, non posso sfoggiare tanta cultura”.
Ultimo di quella triade di “scrittori locali” – ovvero Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia – Camilleri si fa onnipotente in ogni virgola, invia fax al Questore, suggerisce soluzioni al caso, Montalbano che se ne accorge protesta con l’autore per poi sentirsi dire dal Dottori Questori: “Ma anch’io sono uno dei personaggi”. Insomma, il Deus ex Machina si mette a tu per tu con Salvo, il protagonista e lo costringe alla parola fine. Salvo appare stanco, logorato e decisamente stufo delle sparute telefonate di Livia, la fidanzata. Camilleri se ne rende conto e fa capolino nelle pagine: “Com’è che nell’autri romanzi tu non comparivi mai e in questo mi vieni a scassare i cabbasisi ogni cinco minuti?”. La risposta è uno specchio borgesiano: “Lo faccio contro i miei principi e solo per generosità, perché ti voglio aiutare; mai come all’inizio di questa storia mi eri parsi sbalestrato, in affanno”.
In un gioco di trasi e nesci, Camilleri fa uscire il suo commissario dalla verità della letteratura per farlo entrare nella realtà della popolarità televisiva di Luca Zingaretti col gusto di irritarlo, di farlo pupo laddove lui è puparo di un teatro sempre più mirabile, e dunque inevitabile nelle conseguenze.
Esilarante è la scena in cui la folla, incuriosita, osserva Salvo mentre arriva nella scena del crimine: “Talè! Talè! ‘U commissariu arrivò!” “Montalbano è!” “Cu? Montalbanu? Chiddro di la televisioni?” “No, chiddro vero”.
Un gentiluomo ha sempre il buongusto della giusta uscita di scena. E Camilleri, lo fa capitolare, a Montalbano, concedendogli l’onore delle armi. Ed è un harakiri, quello del commissario, come solo un beniamino del grande pubblico può fare: col sudario della pagina bianca, con la gomma che tutto si porta via, non con chissà quale effetto speciale se poi la sconfitta – avere risolto un caso, ma senza una sola prova – gli “sbuca in bocca col sapore del burro rancido e del pesce putrefatto”.
Tutto è fuorché genere, Camilleri. Questo suo ultimo Montalbano, lo conferma nella triade degli “scrittori locali”: una corona legata dall’abbagliante vigore del ragionamento, dell’invenzione (commovente la scena del 2 novembre, la notte dei morticini) e della facondia tutta di teatro la cui coda è cometa di letteratura. La stessa cui si lega, quarto di tre moschettieri qual è, l’erede vero di Camilleri: Antonio Manzini che tutto è fuorché genere.