“Un atto formale di censura e di richiamo alle sue responsabilità e al rispetto istituzionale del ruolo di rilievo che, mio tramite, le è stato affidato”. Si legge così nel provvedimento disciplinare che il presidente della Regione, Nello Musumeci, ha adottato nei confronti del “soggetto attuatore per l’emergenza Covid”, Tuccio D’Urso, dandone comunicazione all’interessato con una lettera nella quale si definiscono “improvvide e intollerabili” le dichiarazioni in cui aveva accusato di broglio alcuni membri del parlamento siciliano. L’Ars, giovedì pomeriggio, aveva approvato una mozione con la quale era stato chiesto al governo di revocargli l’incarico.
Mozione non vincolante (per legge) ma che, nella sostanza, viene puntualmente ignorata da Musumeci, che rifila così l’ennesimo schiaffo ai deputati. Se c’era un’occasione per ricostruire il rapporto con Sala d’Ercole era quella di adottare scelte consequenziali rispetto a quanto accaduto nei giorni precedenti su Facebook e in aula, dove Micciché aveva lanciato strali contro il governatore per le sue omissioni: “Se avesse censurato il comportamento di D’Urso, non saremmo arrivati a questo punto”, è il succo del ragionamento del presidente dell’Ars.
“Solo il contesto emergenziale – spiega Musumeci nella sua lettera – mi impone di non adottare momentaneamente decisioni di maggiore portata, fino alla revoca dell’incarico conferitole, comprendendo che ciò avrebbe drastiche conseguenze sulla celere prosecuzione dell’attività affidata e, quindi, sulla concreta ultimazione di decine di cantieri nelle strutture sanitarie dell’Isola”. Nella missiva, il presidente invita ancora il professionista ad “evitare ogni esternazione che non sia strettamente connessa alla comunicazione delle attività emergenziali. Le conseguenze di un diverso comportamento porterebbero, per quanto in mio potere – scrive – ad una non auspicata ma necessaria revoca dell’incarico come peraltro richiestomi, in modo condivisibile, con atto formale dallo stesso Parlamento”.
A D’Urso non è bastata una letterina di scuse recapitata al presidente del parlamento prima della seduta di giovedì scorso per evitare ripercussioni su se stesso sulla maggioranza, ridotta in brandelli – questa volta – da un voto palese: “Esprimo le mie scuse per le espressioni contenute nel mio profilo social – scriveva D’Urso – dalle quali traspare un tono irriguardoso nei confronti dell’Istituzione e dei suoi rappresentanti da me citati. Ho profondo rispetto del Parlamento e non si ripeteranno fatti analoghi. Ho assicurato il presidente della Regione che in futuro interverrò esclusivamente attraverso gli atti d’ufficio e non pubblici”.
La proposta di derubricare la mozione di revoca in mozione di censura, non è stata accolta dal presidente dell’Ars, fra l’altro destinatario di alcuni insulti (come quello di aver taroccato la votazione di un emendamento che prevedeva la permanenza in ruolo di D’Urso oltre i 70 anni d’età). Persino il governo, presente in aula con l’assessore alla Salute Ruggero Razza, aveva censurato le espressioni dell’ex dirigente all’Energia: “Nessuno ritiene possano essere condivise o difese le espressioni dell’ing. D’Urso. Non soltanto in quest’ultima occasione, ma anche in altre. Più volte il presidente della Regione ha dovuto intervenire, ed è capitato anche a me”, ha spiegato Razza. Specificando, però, “che accomunare le dichiarazioni propalate da D’Urso al lavoro svolto dalla struttura commissariale sia un grande errore. Io non voglio difendere chi ha un carattere difficile, ma un fatto è certo: da un lato ci sono delle espressioni lesive delle istituzioni e della stessa fiducia riposta in D’Urso, dall’altro c’è un lavoro svolto che ci vede come la prima regione italiana” rispetto al potenziamento delle strutture ospedaliere. “La valutazione nel merito – è stata la richiesta di Razza – dovrà tenere conto di alcuni principi di continuità amministrativa che non possono essere ignorati”.
Non è bastato l’intervento di Giorgio Assenza, deputato questore di Diventerà Bellissima, che ha provato a scindere l’incarico di D’Urso dal suo utilizzo dei social. Miccichè, furibondo con Musumeci, non ha sentito ragioni: “Il presidente aveva l’obbligo morale – ha detto rivolgendosi a Razza – di redarguire una persona indegna che lo rappresenta. D’Urso ha reiterato sei volte le offese nei nostri confronti. Ce ne sono mille di persone brave che possono fare il suo lavoro. Voi avete un dovere morale – ha scandito – nei confronti del parlamento e di tutti i deputati”. La logica conseguenza di un pomeriggio tremendo è stata la votazione finale, che ha visto la mozione approvata e Musumeci, rimasto da solo al timone di una maggioranza liquefatta, sconfitto. Ancora.
Martedì si tornerà all’Ars per discutere di atti ispettivi e di indirizzo politico rispetto all’attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza. E soprattutto degli 800 milioni per la sanità, che Razza ha già destinato – in un piano ricognitivo che comprende 283 interventi – ai vari comuni siciliani. Senza prima consultare il parlamento. Ma affidandosi ai dirigenti generali delle Asp. Nulla di definitivo, è chiaro. Anche se entro il 28 febbraio bisognerà predisporre le schede tecniche dei singoli interventi, che pertanto dovranno diventare definitivi. Ce la faranno i nostri eroi?