E’ partita ufficialmente la corsa per le Europee, che fra un mese – oltre a decidere chi “sfonderà” le porte di Bruxelles (alle Isole spettano 8 seggi) – disegnerà il nuovo quadro politico siciliano. Sarà divertente, e in parte anche utile, capire la nuova composizione del consenso nell’Isola. Anche se il rilevamento non potrà dirsi ufficiale fino in fondo, dato che all’appello elettorale mancano alcuni esponenti di rilievo, ad esempio, dell’attuale coalizione di governo. La pseudo-maggioranza all’Ars. Non ci sono i 114 mila voti di Diventerà Bellissima – o meglio ci sono, ma finiranno altrove – così come i 156 mila raccolti dalla lista dei Popolari e Autonomisti alle ultime Regionali. Dell’intergruppo centrista, in quota Popolare, è in gioco soltanto Saverio Romano, per di più con una lista che non è la sua (Forza Italia). E oltre all’ex governatore Lombardo, molto attivo in questi giorni per trovare spazio, in termini di rappresentanza, presso qualche candidato amico, mancheranno all’appello – ufficialmente – anche i consensi di Sicilia Futura, che da qualche giorno ha salutato definitivamente l’esperienza col Pd e si appresta a far breccia nel nuovo centrodestra. Non quello di Alfano, morto, sepolto e senza più rappresentanti: gli ultimi reduci, La Via, Firrarello e Castiglione, erano tornati in Forza Italia a ottobre, ma si sono visti sventolare la bandiera nera a un passo dall’Europa.
Gli esperti dicono che circa 200 mila voti sono “liberi”, da spartire. Una torta stimolante. Ma l’occasione del voto del 26 maggio, in Sicilia, oltre che mero esercizio matematico, tornerà utile (soprattutto) in un altro verso: misurare la tenuta dei due partiti di governo. Il Movimento 5 Stelle, che alle ultime Politiche aveva talvolta sfondato percentuali bulgare (del 50%) è in un momento di difficoltà enorme, anche se il catastrofismo di qualche settimana fa sembra arginato. La Sicilia, da feudo grillino, che risposta darà? E sarà interessante valutare se davvero il duello con la Lega, in termini numerici, è serrato. Un timido segnale per la formazione di Salvini arriverà nel weekend con le Amministrative, la prima vera competizione in cui il Carroccio nell’Isola si presenta con candidati propri, avvolti dallo stemma di Alberto da Giussano: da Monreale a Bagheria, passando per Gela e Mazara del Vallo.
Ma il 26 maggio si capirà davvero se la Sicilia avrà messo da parte gli sfottò e i pregiudizi del passato, avvalorando l’operato del Carroccio e le prove muscolari di Salvini, che in alcuni sondaggi, nel Paese, ha sforato il 36%. La scritta “traditore della Sicilia” sui manifesti di Igor Gelarda – candidato della Lega per Bruxelles, ma ex consigliere comunale dei 5 Stelle a Palermo – ha aperto ufficialmente la contesa coi grillini. Da un lato Gelarda e Attaguile, oltre al capolista Matteo Salvini, hanno velleità per Strasburgo. Dall’altro Corrao e Giarrusso, i più votati su Rousseau dagli iscritti, devono contrastare la capolista sarda, Alessandra Todde, imposta da Di Maio (c’è mancato poco che la piattaforma non la delegittimasse durante il voto di ratifica).
Il 37% ottenuto dal centrodestra alle ultime Regionali invece è molto fluido: gli assenti faranno tutta la differenza del mondo. L’unico partito della coalizione in campo è Forza Italia, con tutte le sue sciagure. La rottura con Pogliese porta via un bottino da 61mila preferenze, quelle che il sindaco di Catania si accaparrò nel 2014, quando ottenne l’elezione al Parlamento europeo. Pogliese e Catanoso, i dissidenti, non hanno ancora scelto dove andranno. Se fra le braccia di Salvini – Catanoso ha un mezzo impegno con il sottosegretario Giorgetti – o della Meloni, approdo naturale (ma minoritario in termini di visibilità) per i transfughi forzisti più di destra. Decideranno nelle prossime settimane. Toglieranno un bel gruzzolo di voti a Micciché e compagni che, saldata la quadratura attorno al capogruppo all’Ars Giuseppe Milazzo – ma anche al capolista Silvio Berlusconi e alla senatrice palermitana Gabriella Giammanco – dovranno cercare numeri anche altrove. E, quasi certamente, si affideranno alla rinnovata stima di Raffaele Lombardo per il Cavaliere.
Gli autonomisti, che sull’altare hanno abbandonato la Meloni, potrebbero “contarsi” su un nome di secondo piano come quello di Giorgia Iacolino, figlia d’arte. E non è detto che fra i maschietti, oltre che su Silvio, non decidano di convergere su Romano. Romano che ha già la copertura assicurativa del Cantiere Popolare, il suo movimento, e di Lagalla, con Idea Sicilia. Anche l’Udc porterà un po’ di acqua al mulino: saranno dello scudocrociato buona parte dei voti di Dafne Musolino, assessore di Cateno De Luca a Messina. Ciò che perde con Pogliese, Forza Italia potrebbe recuperarlo altrove, al centro. Anche da Diventerà Bellissima potrebbe arrivare un aiutino in questo senso: qualcuno potrebbe convergere sul candidato sardo Salvatore Cicu (che ha già conquistato i favori della coppia vice-presidenziale Armao e Bartolozzi); qualcun altro sullo stesso Romano. Ovviamente in gran segreto: perché Musumeci, all’ultimo congresso, ha vietato espressamente la campagna elettorale. Ma non tutti rimarranno orfani del voto.
E’ ufficialmente fuori dagli schieramenti anche Sicilia Futura, fresca di divorzio dal Pd. A causa delle continue fregature che, secondo Totò Cardinale, i “dem” gli hanno rifilato a più riprese: “Non siamo nelle condizioni di poter dire ai nostri elettori di votare per il Pd – ha detto l’ex ministro – ma se qualcuno vuole farlo è libero. Io tutta questa voglia non la noto”. Il patto federativo è stato smantellato, così liberi tutti. Edy Tamajo, che arriva da Grande Sud, potrebbe tornare a strizzare l’occhio a Forza Italia. Così come il segretario regionale Beppe Picciolo, che se qualche mese fa si candidava all’assemblea nazionale del Pd – senza essere eletto – oggi nell’urna potrebbe scegliere Forza Italia e Musolino. Più equilibrato l’altro deputato D’Agostino, che in passato disse “mai con Berlusconi”. Potrebbe virare su Pietro Bartolo, il candidato “nuovo” del Partito Democratico. Il medico di Lampedusa che ha salvato vite umane. Una figura che unisce, al di là dei simboli di partito: “Quando si gioca fuori da uno schema – ha detto di recente Cardinale a Buttanissima – si guarda la persona”.
E Bartolo rappresenta l’arma a sorpresa di un Pd spuntato. Che dà credito a due europarlamentari uscenti, la Chinnici e la Giuffrida. E poi offre sul piatto d’argento di in elettorato da ritrovare, figure più o meno fresche. Mila Spicola, molto apprezzata in ambito scuola, o i sindaci di Ustica (Licciardi) e Sambuca di Sicilia (Ciaccio), modelli di buona amministrazione. L’ala zingarettiana del partito sembra aver fatto quadrato attorno alla Giuffrida, da mesi in campagna elettorale. I renziani restano più prudenti ma potrebbero scegliere Chinnici con Bartolo. Più in generale, la conta nel Pd sarà quella più aderente alla realtà e agli umori. Pochi legami con l’esterno – sia a sinistra che al centro – l’operato di due nuovi segretari (Faraone e Zingaretti) da valutare, il ritorno di fiamma per i temi civili, una presenza costante in piazza. E, all’apparenza, una pace ritrovata dopo la stagione dei congressi. Più a sinistra resta + Europa, che si gioca le sue chance residue di accedere in parlamento con Fabrizio Ferrandelli, capolista incontrastato. Sarà un test divertente e, in parte, indicativo. Sempre meglio dei sondaggi.