Ci sono due fratelli che dieci anni fa io per primo avrei preso per pazzi se mi avessero detto perché mai avevano chiesto un prestito di cinquanta mila euro. Non perché non fossi convinto delle loro capacità, della loro determinazione, della loro testardaggine, piuttosto perché pensavo che, nel pieno di una crisi che a quel tempo più di oggi ingabbiava il paese, scommettere su quell’attività, nell’estremo lembo della Sicilia, sarebbe per lo meno apparso ardimentoso.
Ecco perché la loro storia oggi mi entusiasma e quasi commuove, e dovrebbe indurre tutti i giovani, non solo siciliani, ma soprattutto siciliani, a non dare mai per scontata l’equazione utopistica di certe scommesse imprenditoriali. L’uno si chiama Giulio, l’altro Vincenzo. Sono i fratelli Bonfissuto di Canicattì. L’uno oggi ha quarant’anni, l’altro trentasette. Hanno le facce buone, pulite, quelle dei bravi ragazzi, e non così per dire. Che cosa hanno fatto questi due “pazzi”? Si sono messi in testa, dieci anni fa, di investire nella produzione di dolciumi; ma non una pasticceria come tante, buonissime per fortuna ce ne sono. No. Loro hanno puntato al top. All’arte pasticcera dei panettoni che avessero come comune denominatore la migliore qualità possibile delle materie prime: il cioccolato di Modica, il pistacchio di Bronte, la mandorla di Avola e un’infaticabile ricerca di prodotti d’eccellenza, il meglio del meglio, convinti come erano, e come sono, che solo così si potesse arrivare al successo.
Venivano dall’istituto alberghiero di Favara, dove si studia per diventare cuochi, dove l’arte per la cucina è una missione, prima che un obiettivo per campare. E loro avevano una base culturale importante di chi non solo studiava, ma si dedicava pienamente a questa missione, con una continua ricerca, con una documentazione ampia. Come chissà quante migliaia di altri giovani siciliani, anche i fratelli Bonfissuto finita la scuola si sono guardati in faccia e si sono detti “e ora?”. E come chissà quante migliaia di altri giovani, pure loro avrebbero potuto fare i bagagli e provare al nord, se non all’estero, a mettere a frutto, come si dice, le proprie competenze: un posto di aiuto cuoco lo avrebbero trovato a Milano o a Torino, in Svizzera o in Germania. E magari fare carriera, un po’ per volta. Ma sapete come vanno queste cose? C’entra l’amore per la propria terra, per la famiglia, l’audacia di scommettere, di mettersi in gioco, un sacrificio dopo l’altro.
E insomma, Giulio e Vincenzo si sono guardati in faccia e si sono ritrovati con le idee chiare, fratelli di sangue e di prospettive: “proviamoci, buttiamoci”, e siccome non è che avessero chissà quali soldi da parte, hanno dovuto fare il percorso ancora più rischioso: un prestito, per cominciare a investire. E un po’ per volta, destreggiandosi tra crisi e ambiente complicato, hanno trovato il loro spazio e la loro collazione. Hanno uno stabilimento di quasi mille metri quadrati, danno lavoro a quindici giovani e fanno panettoni, dolci, che bisogna provarli e basta. E li elaborano con una cura e uno stile maniacali, perfino nel design della confezione, nei disegni, nei colori, nelle grafiche, che a vederli sembrano prodotti pronti per sfilare o per essere esibiti nelle mostre. Invece, più prosaicamente, si scartano con cura e si assaggiano per deliziare la vita e il palato.
E siccome Giulio e Vincenzo hanno capito che puoi fare il prodotto più buono del mondo ma se non ti fai conoscere puoi farlo ammuffire nel magazzino, si sono dati da fare nel mondo della comunicazione con il loro modo di porsi gentile d’altri tempi, senza la supponenza di certi nomi roboanti. E attingendo all’unica terra che conoscono, la loro, la nostra amata Sicilia, hanno sfornato prodotti da far impazzire perfino il Papa. No, non è un modo di dire. I fratelli Bonfissuto sono riusciti a donare una loro “colomba” pasquale a papa Francesco che li aveva invitati la scorsa Pasqua a san Pietro. E sono pure riusciti a fare arrivare i loro prodotti in America, alla Nasa. Da Canicattì, incastonata tra i rigogliosi vigneti che ondeggiano al vento e fanno vino buono, i panettoni e le colombe dei fratelli Bonfissuto, i loro dolci, girano il mondo con la loro storia pulita e semplice che riscatta, e non è retorica, il sud del sud, e la voglia di affermarsi di chi dal sud non si vuole staccare, ma vuole renderlo ed esportarlo più dolce, più buono.