In un’intervista a Milano Finanza, Franco Bernabè, espressione intelligente e navigata della classe dirigente nazionale (oggi si usa dire establishment) spiega, con grande efficacia, come l’uscita di scena di Draghi farebbe felice Putin, anzi ipotizza che anche questa crisi, come avvenuto in passato su altre vicende, possa avere a che fare con l’attività di influenza dell’intelligence russa. E poi ci sono le catastrofiche reazioni sui mercati, e poi gli investitori, e poi il rischio della paralisi. E poi le accuse a certi partiti. Però, a fronte di questo scenario, Bernabè, che di Draghi è un estimatore e a palazzo Chigi è molto stimato (l’articolo è stato apprezzato e segnalato da qualche collaboratore del premier), non lo invita calorosamente a rimanere in nome di un bene del Paese più grande delle convulsioni dell’M5s che, di qui a mercoledì, completerà la propria implosione, anzi: “Se Draghi rimanesse – dice – avrebbe davanti mesi di turbolenze che, oltre a renderne inefficace l’azione, ne minerebbero la credibilità: un doppio danno per l’Italia. La sua credibilità va preservata perché il Paese ne avrà bisogno per momenti difficili che sicuramente verranno”.
Insomma, la si dà a vinta ai russi, il Paese va a ramengo, però magari sarà richiamato per un Draghi bis dopo il voto. Peccato che tra il ramengo e l’auspicio di una nuova chiamata c’è una variabile di nome democrazia: quella cosa per cui chi vince le elezioni ha il sacrosanto diritto e dovere di governare. Tant’è finché, parafrasando Brecht, non si riuscirà a cambiare il popolo, quando non comprenderà i desideri del comitato centrale o dell’establishment nazionale. E se il popolo va a votare in piena crisi perché nessuno è riuscito a mettere ordine nel pollaio del Palazzo e, mentre triplicano i costi le bollette, assiste alle chiacchiere da talk pure in estate, a occhio il suddetto popolo si incazza. Peraltro chi pensa che Draghi, una volta dimessosi, possa prendere un volo per una meritata vacanza, ignora che sarà costretto a rimanere, per il disbrigo degli affari correnti, fino a novembre. Costretto a fare, con poteri più limitati, ciò che dovrebbe fare con poteri pieni, come la messa a terra del Pnrr di cui vanno varati decreti attuativi. E comunque esposto alla protesta sociale, perché i tassisti sotto palazzo Chigi, se li trova lo stesso. Continua su Huffington Post