L’arte della villeggiatura. L’elogio della lentezza, della lettura, della meditazione, dello svago proficuo a ritemprarsi. Con l’aria che tira, l’unica risposta possibile. Altro che “resilienza”, ché già il termine fa venire l’orticaria. “El buen retiro” come rimedio alle disgrazie che imperversano.
Sventure da fare concorrenza alle piaghe che secondo la Bibbia Dio mandò agli egizi. Una appresso all’altra. In fila per due.
Il rincaro della benzina, l’inflazione, la recessione, la rincorsa dei prezzi dei beni di largo consumo, pasta e pane per primi, il razionamento del gas. Tutte prove di come siamo riusciti a infliggerci con criterio le sanzioni contro la Russia.
La guerra d’Ucraina che più scivola giù nell’impaginazione dei notiziari e più preoccupa. Significa che non va affatto secondo le previsioni dei nostri governanti. I quali pensano di riuscire dove non riuscì neppure Napoleone. Vabbè. “Panta rei”, tutto passa, tutto vola via.
C’è, poi, la vicenda di Gigino Di Maio, cavaliere Di Mario (Draghi, si intende). Per dirla con parole sue, ha “cambiato casacca tenendosi la poltrona”. Smentendo quindi se stesso e le precedenti dichiarazioni in materia elettorale. Finora nessuno gli ha chiesto il risarcimento che lui stesso aveva previsto e annunciato per coloro che abbandonavano il partito in cui erano stati eletti.
Dopo l’addio al Movimento 5 stelle, ha fondato un gruppo tutto suo: “Insieme per il futuro”. Facile aggiungerci, nel caso specifico, “il futuro dei congiuntivi” o anche più terra terra solo “dei congiunti”. Belloccio com’è, il ministro degli Esteri si sarà rimirato allo specchio e ha dichiarato: “abbiamo bisogno dei nostri migliori talenti. Altro che uno vale uno”. Ha cambiato idea, insomma, e si è promosso in diplomazia. Restando nei ranghi draghiani per mantenere il rango.
E c’è, appunto, patron Draghi. Il quale ha un chiodo fisso: il fronte orientale d’Europa, “Whatever it takes”. Uomo saldo come solo chi è aduso a maneggiare soldi può essere, ma non propriamente “di tenace concetto” alla Sciascia, Mario Draghi non ci pensa proprio a “voltarsi dall’altra parte”. Più atlantista perfino del segretario della Nato Stoltenberg, esempio classico di “nomen omen”.
E c’è, ancora, la pandemia che impazza con le sue varianti, in grado di aggirare le tre-quattro dosi già inoculate. E le morti sul lavoro, perfino a 72 anni. E i migranti, che non fanno più neppure notizia. E la Libia, la Siria, l’Afghanistan. E la Lituania che, piccola com’è, si mette di traverso contro Mosca. E i terremoti, la siccità, gli incendi. E le bollette. E le cavallette. Queste perora in Sardegna, prossimamente non si sa.
Non ci resta che la villeggiatura. Evasione e consolazione di inizio estate. Con la loro letteratura di riferimento. A cominciare dalle “Smanie della villeggiatura” già descritte e rappresentate da Carlo Goldoni due secoli e mezzo fa per mettere alla berlina la novissima società del tempo, la nascente borghesia edonista e stracciona. Uomini e donne che già allora ambivano ad apparire ciò che non erano.
Un po’ come nel nuovo giallo di Giuseppina Torregrossa “Chiedi al portiere”, appena pubblicato da Marsilio. L’ispettore Mario Fagioli, chiamato “Gladiatore” dai suoi colleghi, torna nella famigerata via dei Minimi, quartieri altoborghesi di Roma, per una nuova indagine dopo quella sulla “Morte accidentale di un amministratore di condominio” dello scorso anno.
La narrazione intreccia stavolta due vittime, all’opposto tra loro. Come l’essere è altro rispetto all’apparire. Si tratta di un’anziana signora morta, forse assassinata, che in vita è stata prototipo di virtù ormai desuete: cultura, cortesia, altruismo, umana solidarietà. E di una giornalista viva e vegeta. La quale di un’aggressione subita riesce a fare strumento immediato di autopromozione. Anzi, per far durare la storia più a lungo non le interessa affatto che si trovi il colpevole. E’ lei, col suo seguito di telespettatori adoranti e di assistenti lolite che sembrano interpretare i “manga” giapponesi, a incarnare la società dello spettacolo, il nostro quotidiano Truman Show.
Con una felice intuizione su cosa è diventato il giornalismo oggi, soprattutto in tv. Con la regola sempre più diffusa del “Prima vengo io, col mio ego e la mia storia; poi, se necessario, viene anche la notizia”. Non manca neppure il coro delle vecchie arpie di via dei Minimi, come in “Morte accidentale di un amministratore di condominio”. Loro sanno tutto di tutti, e sanno cosa fare, quando e come. Un mondo perso e crudele. A loro stessa insaputa.
Quanto basta per capire che lo sfondo del romanzo di Giuseppina Torregrossa conta più della storia in sé. E’ un libro da villeggiatura per eccellenza. Che con leggerezza e ironia riesce a svelare lo spirito del tempo. E si capisce che già il fatto stesso di scrivere diventa un atto di ottimismo contro il pessimismo a cui induce la ragione.
Lo stesso intento di Lidia Tilotta, giornalista della Rai, che torna alle sue storie di vita vissuta con “Karìbu. Lo Zambia, una donna, una grande avventura”, Infinito Edizioni, giugno 2022. Un libro scritto a quattro mani col medico Cristina Fazzi di Enna, dopo il successo di “Lacrime di sale”, scritto anch’esso a quattro mani nel 2016 con Pietro Bartolo, medico a Lampedusa e oggi europarlamentare.
“Karìbu”, che nella lingua bemba, la più parlata nello Zambia, significa “benvenuto”, contiene il sogno di un nuovo modello di sviluppo che sorpassi una volta per tutte il retaggio coloniale. Intanto il libro è un viaggio nel mondo reale che ancora resiste, con i suoi contrasti, con la sua bellezza e la sua miseria, nei villaggi sperduti della foresta equatoriale e nella ben più infida umanità che vive in megalopoli come Lusaka, nei cui “slum”, come si chiamano le baraccopoli, può accadere di tutto.
Per la cronaca proprio a Lusaka si terrà il prossimo 17 luglio il vertice dell’Unione Africana. La stessa organizzazione panafricana appena convocata su richiesta del presidente dell’Ucraina Zelensky, in perenne divisa militare e altrettanto perenne tournée mediatica per il mondo.
Un meeting virtuale, ovviamente. Che si è rivelato un clamoroso flop. Secondo The Africa Report, periodico di attualità in lingua inglese pubblicato dal gruppo editoriale Jeune Afrique con sede a Parigi, erano presenti alla sessione – “che, benché virtuale, si è tenuta a porte chiuse” – solo quattro presidenti su 55 stati membri: il presidente della African Union, Macky Sall, che è anche presidente del Senegal, Alassane Ouattara della Costa d’Avorio, Denis Sassou Nguesso della Repubblica del Congo e Mohammed el-Menfi, presidente del consiglio della Libia, il successore di Fayez al-Sarraj. The Africa Report riferisce il 21 giugno sull’esito del vertice sottolineando la “reluctance” di molti stati africani ad aderire alla richiesta di supporto da parte di Zelensky.
Il che, poi, non è neppure una novità dal momento che già durante il voto alle Nazioni Unite sull’aggressione russa all’Ucraina, gli stessi stati africani avevano preferito rimanere neutrali. Mica sono Occidente, loro. Anzi, dall’Occidente hanno ricevuto tante e tali batoste che preferiscono proprio guardare agli affari di propria pertinenza.
Sono già abituati anche alle carestie, evocate da Zelensky “per colpa della Russia”.
A fine vertice lo stesso Presidente della African Union ha cinguettato su Twitter: “L’Afrique reste attachée à la résolution pacifique des conflits et à la liberté du commerce”. Con tanti saluti a Zelensky. Arrivederci e grazie.
Tanto il presidente dell’Ucraina avrà occasione per rifarsi al summit con i capi di stato e di governo dei paesi membri della Nato che si terrà a Madrid dal 28 al 30 giugno prossimi. Successo assicurato.
Nel frattempo godiamoci la villeggiatura. L’attesa, i preparativi. Il sabato del villaggio globale.
Come nel film spagnolo “Le lunghe vacanze del ‘36”, con Angela Molina, sempre straordinaria, per la regia di Jaime Camino. Un film uscito mesi dopo la morte del Caudillo nel 1975, senza più necessità di propaganda, ma ancora con la censura in attività. La prima incursione cinematografica nella Guerra civile spagnola, la madre di tutte le guerre europee, compresa quella d’Ucraina.
Il tema è il golpe dei franchisti del 18 luglio 1936. La guerra civile che travolge la Spagna proprio durante le vacanze, allora riservate ai borghesi.
Il tempo della villeggiatura si dilata, modifica aspettative e perfino relazioni sociali e interpersonali. Diventa occasione per meditare e prepararsi al mondo che verrà.