Un dossier pieno di incognite e da “mani nei capelli”. Daniela Faraoni, che ha prestato giuramento all’Ars da nuovo assessore alla Salute, non beneficerà del classico periodo di rodaggio. La sanità annaspa, pertanto esige risposte immediate, prontezza di spirito, propensione al compromesso. Non tanto quello politico (lì il nuovo assessore è ben equipaggiato); è nell’apertura verso gli addetti ai lavori, a cominciare dai privati convenzionati, che andrà misurata la capacità di Faraoni di raggiungere delle mete che appaiono “complesse, ambiziose ma anche indispensabili”. Parole sue.
Il nuovo assessore parte coi favori del pronostico perché conosce i problemi. Li ha vissuti da manager dell’Asp di Palermo, la principale azienda sanitaria della Sicilia (con due miliardi di budget), e non sempre è riuscita a risolverli. Occorrono pazienza e risolutezza. La prima questione da districare è, appunto, la sua successione. Capire fin dove potrà arrivare la rivalità con Salvatore Iacolino, attuale direttore della Pianificazione strategica (con un contratto in scadenza l’8 maggio), e dove – invece – l’utilità di fare una scelta coraggiosa e in linea con gli obiettivi in sospeso. “Serve una persona capace di guardare oltre – ha detto la Faraoni in un’intervista, parlando appunto dell’Asp di Palermo -. La figura ideale deve avere una visione strategica, perché i risultati non arrivano immediatamente, ma attraverso un percorso che richiede intelligenza, impegno, dedizione e umiltà”. Attualmente l’incarico è stato assunto ad interim dal Direttore sanitario, pur nella consapevolezza che l’organizzazione potrebbe risentirne.
Ma non c’è soltanto l’Asp. C’è anche Villa Sofia, dove la situazione è precipitata a cavallo delle festività natalizie, con la morte di un paziente che aveva atteso 17 giorni in reparto (e altri tre al Pronto soccorso) per un intervento alla spalla. Le due ispezioni – una di Schifani e l’altra dello stesso Iacolino – avevano fatto emergere delle responsabilità da parte dei massimi dirigenti, ma l’esito dei colloqui di Schifani è stato opposto: il Direttore sanitario Aroldo Rizzo ha rassegnato le proprie dimissioni, facendone una questione di dignità e sputando veleno contro la politica alla ricerca del capro espiatorio; a differenza del manager Roberto Colletti, cuffariano, che è rimasto saldamente sulla sua poltrona dopo un confronto “franco” col governatore. Delle due l’una: o tutti sono responsabili, o nessuno. Alla Faraoni il compito di risolvere l’arcano.
Anche nel reparto di Cardiochirurgia Pediatrica dell’ospedale “Civico” di Palermo, dopo la morte di un bambino (sopraggiunta dopo tre interventi e due ricoveri) sarebbe servito uno sforzo in più in termini di chiarezza. Specie dopo che gli ispettori inviati dalla Regione, lo scorso ottobre, hanno rappresentato una situazione abbastanza critica, evidenziando carenze organizzative e assistenziali che, secondo Repubblica, “minano gli standard di sicurezza”. Una situazione grave, soprattutto perché figlia di un appalto triennale (da 8 milioni) con il Gruppo San Donato, guidato dall’ex ministro Angelino Alfano. I cardiochirurghi “esterni” non sarebbero stati presenti durante gli interventi eseguiti sul piccolo Cristian, a differenza di quanto previsto dalla convenzione. Nei giorni scorsi un’altra ombra si è allungata sul “Civico”: cioè il trasferimento di alcuni bambini nei reparti di altri ospedali “specializzati”, come il San Vincenzo di Taormina. Come se l’ospedale non avesse gli strumenti e il know how adeguati per curarli.
A proposito di Cardiochirurgie pediatriche, andrà analizzata (in maniera celere) la situazione del presidio di Taormina, dove il reparto è gestito dal Bambin Gesù di Roma. Per effetto del decreto Balduzzi, che prevede la presenza di una cardiochirurgia pediatrica ogni 5 milioni di abitanti, quello di Taormina andrebbe chiuso. E probabilmente, al netto delle proroghe fin qui accordate, dal 31 luglio sarà così. Anche se qualcuno, come il sindaco della perla dello Jonio, Cateno De Luca, non ha alcuna intenzione di rinunciarci: “Non possiamo accettare che logiche territoriali o antagonismi con altre regioni, come la Calabria, ostacolino la salvaguardia di un presidio così importante. Serve una deroga al decreto Balduzzi per consolidare questa eccellenza”. Riuscirà la Faraoni ad accontentarlo?
Tra tutte le vicende che l’assessore dovrà affrontare resiste, in vetta, quella dei privati convenzionati. Che hanno proclamato a inizio mese lo stato d’agitazione (ma hanno rinunciato allo sciopero indetto inizialmente per domani) a causa dell’entrata in vigore del decreto Schillaci e del nuovo tariffario che taglia fino al 50% i rimborsi delle prestazioni erogate per il Servizio sanitario. L’ascia di guerra è stata seppellita a seguito di un incontro con Salvatore Iacolino, ma la minaccia di licenziamento continua a incombere sulla testa di diecimila dipendenti. I convenzionati, dopo aver adeguato i sistemi informatici ai nuovi codici di codifica, non possono garantire più le prestazioni sottocosto e continuano ad accettare solo le ricette prescritte fino al 29 dicembre (cioè col vecchio tariffario). Con questo atteggiamento, dettato più che altro dalla disperazione, hanno già fatto irritare la Regione, che li ha avvertiti del rischio: ovverosia la revoca dell’accreditamento (si parla di “interruzione di pubblico servizio”). Il nuovo assessore dovrà sfruttare l’intervento di Schifani e tradurre in fatti concreti la possibilità offerta dall’articolo 1 comma 322 dell’ultima Legge di Bilancio dello Stato, che consente – almeno sulla carta – di “derogare” al Piano di rientro cui la Sicilia è costretta dal 2007. In questo modo la Regione potrebbe, almeno in parte, compensare i tagli imposti da Roma.
Nel menu di questo 2025 tutto in salita rimangono altre impellenze: la prima è dare corso alla rimodulazione della rete ospedaliera, allo scopo di rendere più efficace la distribuzione dei servizi sanitari nei presidi. Gli appetiti della politica e dei cacicchi, orientata in modo prevalente dai campanilismi e dalla ricerca di consenso (un po’ come avviene per le mance destinate alle sagre), rischia di annullare il lavoro svolto dai dirigenti di Asp e ospedali, che hanno già presentato una prima mappatura in assessorato. Un’altra fondamentale questione è il potenziamento della medicina territoriale, che passa dal completamento di case e ospedali di comunità finanziati col Pnrr. Pochissimi sono stati completati e inaugurati. Gli investimenti post-Covid, che in una prima fase erano stati monitorati da una struttura tecnica dell’assessorato, con il venir meno dell’emergenza sono passati di mano alle singole aziende. Terapie intensive e pronto soccorso sono rimasti “congelati”. Anche se nei reparti tradizionali mancano i medici… Ecco, forse bisognerebbe ripartire da qui, dalla carenza drammatica di personale. E costruirci attorno tutto il resto.