La sfuriata di Giovanni Donzelli contro Manlio Messina, raccontata con dovizia di particolari sull’edizione di sabato del Fatto Quotidiano, ha rischiato di far precipitare la situazione dentro Fratelli d’Italia. Sia a Roma, dove il Balilla ricopre l’incarico di vicecapogruppo alla Camera, dal quale ha persino pensato di dimettersi; che in Sicilia, dove la frattura fra le due anime del partito, quella catanese e quella palermitana, è sempre più netta. La parola d’ordine è “negare fino alla morte”, ma il caso Auteri è il sintomo di un malessere che per mesi ha serpeggiato fra i patrioti, e che forse – una volta esploso – ha lacerato in maniera irrimediabile il senso d’impunità di una classe politica che si riconosce nella ‘corrente turistica’.

E’ quella di Manlio Messina, come risaputo, e deriva dal forte legame dell’ex assessore regionale con il Ministro Francesco Lollobrigida, che dopo la rottura con Arianna è sempre più ai margini dell’inner circle patriota. I metodi della corrente sono stati impugnati dal tribunale del rigore di cui Donzelli, responsabile dell’organizzazione di FdI sul territorio, è il massimo esponente (assieme alla sorella della premier). Dopo le indagini aperte dalla Corte dei Conti e dalle Procura di Siracusa e Palermo sui fondi destinati alle associazioni della “galassia Auteri”, che hanno portato a galla un sistema di lottizzazione e clientelismo da far impallidire la peggiore casta, qualcuno in Fratelli d’Italia ha finalmente aperto gli occhi: “Hai messo in piedi un sistema in Sicilia”, è stata l’accusa di Donzelli a Messina. “Se te lo chiedono devi dissociarti da Auteri”, la richiesta.

Il Balilla, tronfio come sempre, se n’è fregato. Non avrebbe mai abbandonato un suo allievo: non l’ha fatto con Scarpinato, disastroso nella gestione del caso Cannes, figuriamoci adesso. Il pressing è andato avanti: “Avete messo in piedi un sistema che non va bene – ha detto Donzelli – Noi siamo diversi dagli altri e non si può gestire il potere per farsi gli affari propri”. Una contestazione che nessuno – né Musumeci né Schifani né la Meloni – aveva avuto il coraggio di rivolgere, negli anni degli sprechi, all’ex assessore regionale al Turismo; che infatti l’ha ritenuto un insulto, un atto di lesa maestà. E dopo aver ricordato a Donzelli le vicende del fratello arrestato (per bancarotta) e poi scarcerato, aveva lanciato la provocazione: “Se è così non c’è problema, mi dimetto da vicecapogruppo e dal partito”. A quel punto l’eminenza grigia di FdI, Ignazio La Russa, ha provato a placare la sua ira. Riuscendo a incidere su una decisione quasi presa, che il Balilla avrebbe annunciato in diretta Facebook (le tracce sono ancora presenti sui social), prima di rimangiarsi tutto.

Al netto della sensazione maleodorante dell’ennesimo insabbiamento – anche l’Ars, diretta da un allievo di La Russa, ha già in parte ritrattato il ban ai finanziamenti diretti alle associazioni nella prossima Legge di Stabilità – emerge con chiarezza che le parole di Donzelli segnano un prima e un dopo: o si cambia registro, oppure si cambia partito. Messina, che in Sicilia si è rivelato il vero dominus di Fratelli d’Italia, tanto da oscurare la figura dei due segretari regionali, è finito alle corde. E adesso, al netto delle continue apparizioni in tivù (è l’uomo dei talk show), è atteso alla prossima mossa. Come nel gioco dell’oca.

Peraltro non c’è stato bisogno di prendere le distanze da Auteri: nessuno, fra i meloniani, l’ha fatto. Per evitare facili imbarazzi e indispettire il Balilla, hanno lasciato che fosse Auteri a consegnarsi: prima sospendendosi dal partito, poi lasciando il gruppo parlamentare (in realtà il capogruppo Assenza l’aveva già considerato fuori) e infine dimettendosi dalla commissione Cultura. Sir Carlo, quello delle minacce a La Vardera nei bagni dell’Assemblea, è arrivato persino ad attaccare Schifani (“Ha commissariato l’assessorato al Turismo”) senza che ne pagasse, politicamente, le conseguenze.

Fratelli d’Italia, a parte Donzelli e pochissimi altri, ha assistito muta a questo sfacelo. Tanto più in Sicilia, dove qualsiasi atto d’accusa nei confronti del parlamentare di Sortino avrebbe significato schierarsi contro il più influente dei leader. Ma adesso che Messina è stato “sgonfiato” dai suoi diretti superiori, cosa accadrà davvero? Qualcuno oserà sganciarsi dai metodi della corrente turistica e riallinearsi alla questione morale professata da Palazzo Chigi? L’anima palermitana del partito, che praticamente non esiste, avrà la forza di riemergere da mesi di insopportabili umiliazioni? Esiste un prima e dopo Donzelli, ma forse esisterà anche un prima e dopo Brucoli. Cioè la sede che per un paio d’anni ha rimarcato e consacrato un’azione di governo borderline, intrisa di prebende e finanziamenti indiscriminati; di amici degli amici e pagnottisti affermati; di bonus ingannevoli e campagne di comunicazioni elefantiache.

Il primo segnale che arriva dall’Ars, purtroppo, non lascia intravedere nulla di buono. Dopo aver reclamato lo stop ai finanziamenti diretti alle associazioni nella Finanziaria 2025, Galvagno – che aveva anche ricevuto la benedizione di Schifani per l’adozione di una “norma quadro” – forse dovrà cedere il passo agli accordi raggiunti dal centrodestra nell’ultimo summit di coalizione: basteranno i “rigidi paletti” a evitare l’assalto alla diligenza? A impedire una serie di emendamenti ad associationem, se non addirittura ad personam? La risposta è ‘no’, se a fissare questi paletti saranno i soggetti di sempre. Cioè quelli che si sono spartiti centinaia di migliaia di euro in maniera scientifica, consegnando all’assessorato al Turismo una tabella già compilata di beneficiari dei fondi, senza tener conto di alcuna procedura di evidenza pubblica, senza alcun nesso con le reali esigenze di enti e teatri, ma solo basandosi sul sistema dell’amichettismo. Che migliorie potrebbero portare, costoro? E quali reali chance ha Donzelli di infrangere questo sistema per rendere onore alla Meloni?