Alle assenze eccellenti del governatore Nello Musumeci e del presidente della commissione Antimafia, Claudio Fava, che ha appena aperto un’inchiesta sull’intricato sistema corruttivo che pervade la politica siciliana, si è aggiunta a sorpresa quella del sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Che dopo aver confermato, fino a ieri, la sua partecipazione all’evento dell’Ucciardone, oggi si è tirato fuori con una nota stringata pubblicata su Facebook: “Mi ero augurato che qualsiasi presenza istituzionale oggi a Palermo e all’Aula Bunker non si trasformasse in occasione per comizi pre-elettorali. Ho appreso che purtroppo non sarà così col previsto intervento di chi solo tre giorni fa ha attaccato i magistrati siciliani (Salvini, ndr). Il dovere di rispettare la memoria di quell’Aula, del Pool antimafia che vi realizzò il primo maxi processo, del Comune di Palermo che a quel processo per la prima volta si costituì Parte Civile; soprattutto il dovere del rispetto della memoria di chi si è battuto a costo della vita contro ogni violenza e violazione dei diritti e del diritto, quel dovere mi impone di non essere presente all’Aula Bunker purtroppo trasformata in piazza per comizi. Sarò oggi nelle piazze della città con i cittadini di Palermo e con gli studenti di tutta Italia, sarò lì dove si renderà doveroso omaggio istituzionale e umano alla memoria delle vittime”.
L’unico rappresentante delle istituzioni siciliane nel carcere dell’Ucciardone, dove Giovanni Falcone istruì il primo grande processo alla mafia, è Gianfranco Miccichè. Una presenza annunciata ma per nulla scontata. Che fa notizia perché il palcoscenico, nella giornata di “cerimonie e lustrini” che secondo Fava è diventato più o meno simile al festino di Santa Rosalia, sembrava allestito per il Ministro dell’Interno. Non sarebbe tutta ‘sta gran notizia, se non fosse che il Ministro dell’Interno risponde al nome di Matteo Salvini, che ha trascorso gli ultimi mesi a litigare con tutti, soprattutto con Micciché e Orlando. Il Capo del Viminale, dopo la visita mattutina alla stele di Capaci, ha partecipato al memoriale organizzato da Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso assieme alla moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta in quel terribile giorno di maggio di 27 anni fa. “Il mio augurio è che nessuna polemica sporchi le celebrazioni in ricordo delle stragi di Capaci e Via D’Amelio” aveva detto ieri, nel tardo pomeriggio, Maria Falcone. Ma il fuggi fuggi dall’aula bunker era già cominciato.
Prendete Claudio Fava. In Sicilia presiede la commissione parlamentare Antimafia, e più di altri avrebbe il diritto/dovere di intervenire in un’occasione del genere, dato che persino il padre Giuseppe, coraggioso giornalista, è stato assassinato da Cosa Nostra. Invece no, è rimasto lontano dall’Ucciardone. A Capaci per l’esattezza, assieme all’Arci e all’Associazione nazionale partigiani, per una manifestazione “meno formale e più sostanziale”. Fava, infatti, non ha gradito la presenza dei Ministri romani che, dall’alto delle loro autorevoli poltrone, sarebbero venuti a Palermo per riferire di una storia e di una battaglia di cui non posseggono contezza: “Al posto dei vescovi e dei turibolanti che spargono incenso, ci saranno i ministri romani, gli unici che avranno titolo per parlare (con la loro brava diretta televisiva) e per spiegarci come si combatte Cosa nostra. Cioè verranno loro, da Roma, per spiegarlo a noi siciliani, a chi da mezzo secolo si scortica l’anima e si piaga le ginocchia nel tentativo di liberarsi dalle mafie. La scaletta degli interventi – è l’appunto di Fava, che non lesina stoccate a Maria Falcone – l’ha decisa la Rai, come al Grande Fratello. Chi finanzia il festino, cioè il ministro dell’Istruzione, viene e parla assieme ai suoi colleghi di governo: gli altri in sala ad applaudire, come si fa a scuola col direttore. Una cerimonia patriottica grottesca!”.
E attenzione, non c’entra soltanto Salvini. Perché le polemiche dei giorni scorsi indurrebbero a pensare che quello di troppo sia il ministro dell’Interno. In realtà, tra le istituzioni, non l’ha detto nessuno. Il messaggio di fastidio per la presenza del Capo del Viminale è giunto da alcune associazioni che si occupano di antimafia e che vedono in Salvini quanto di più lontano da Falcone, un’offesa alla storia del magistrato. Ma la storia qui rischia di ingarbugliarsi, mettendo insieme politica, resistenza, lotta alla mafia, comizi ed elezioni. Perché – magari – se il 23 maggio non fosse caduto così vicino a domenica 26, giorno in cui si vota per il rinnovo del Parlamento europeo, a nessuno (o quasi) sarebbe venuta in mente l’associazione fra i due momenti.
Uno sacro, l’altro altrettanto sacro (ma in modo diametralmente opposto). L’idea che qualcuno – Salvini – venisse si presentasse nell’aula bunker per l’ennesimo comizio era già balenata nella testa di Leoluca Orlando, che fra i politici siciliani, assieme a Gianfranco Micciché, è uno che al ministro non intende perdonare alcunché: dall’atteggiamento sui migranti a tutto il resto. L’ultima contestazione, Costituzione alla mano, fa riferimento all’articolo 54, che impone a chi ricopre cariche pubbliche di farlo con “onore e disciplina”: “Non c’è disciplina e onore nel battersi perché un sottosegretario indagato per rapporti con uomini di Messina Denaro resti al suo posto – aveva detto Orlando -; non c’è disciplina e onore nel sanzionare una professoressa che educa i propri studenti al senso civico; non c’è disciplina e onore nel negare i diritti dei migranti che sono esseri umani; non c’è disciplina e onore nel negare la libertà di espressione dei cittadini che manifestano pacificamente il proprio dissenso”.
Chi, nonostante gli screzi degli ultimi mesi (gli ha dato dello “stronzo” per la gestione del caso Diciotti), si era detto pronto a stringere la mano al ministro, è Gianfranco Miccichè. Il presidente dell’Assemblea regionale, che di recente ha premiato con delle borse di studio finanziate dall’Ars e aggiudicate dall’associazione di Maria Falcone gli studenti siciliani più meritevoli, ha confermato la propria presenza. Non presentarsi andrebbe contro il pensiero espresso dallo stesso Micciché qualche settimana fa all’Ars, che per la prima volta nella storia ospitava il ricordo di Pio La Torre nel 37° anniversario dalla scomparsa. Micciché evidenziò come “il fatto che questa manifestazione si svolga qui vuol dire che le istituzioni non sono più nemiche da combattere”, che “l’Istituzione non è più complice. C’è la coscienza che c’è del malaffare nelle istituzioni ma è solo una parte marginale. Altrimenti non sareste venuti. Questo significa che la politica inizia a lanciare un segnale di cambiamento”. Il segnale di cambiamento, secondo il presidente dell’Assemblea, non passa dall’assenza, da una negazione del proprio ruolo istituzionale di fronte a una dialettica – quale antimafia è quella buona? – senz’altro sconveniente.
Eppure il penultimo politico, quello dal rango più elevato, ad annunciare forfait per l’aula bunker era stato Nello Musumeci. Ovviamente non c’entra il ministro Salvini, con cui di recente il governatore ha riavviato i contatti (lo testimonia la presenza congiunta, lo scorso 25 aprile, a Corleone per l’inaugurazione di una caserma dei carabinieri). C’entra, piuttosto, il clima velenoso che si respira in questa fase storica, in cui i reflussi fascisti – veri o presunti – rischiano di infettare anche le parti sane della società. Quella pensante, cosciente, solidale. Quella che non dimentica. Musumeci, che ha fatto della neutralità una costante anche in politica, si è tirato fuori dalla bagarre alla vigilia: “Mi dispiace per la signora Falcone – ha detto il presidente della Regione – Le polemiche sono tante, c’è troppo veleno e tutto questo non suona a rispetto della memoria del giudice Falcone e dei poveri agenti della scorta”. Musumeci ha ricordato Falcone andando “alla caserma Lungaro per la deposizione della corona d’alloro da parte del capo della polizia. Poi tornerò nel mio ufficio a lavorare per tentare di tirar fuori i ragazzi dal condizionamento da parte della criminalità organizzata che si nutre e alimenta della disperazione dei giovani soprattutto nelle periferie dove lo Stato ha difficoltà ad arrivare”.
L’unico a non aver proferito parola sulle polemiche innescate (soprattutto) dalla sua presenza, è lo stesso Salvini. Che soltanto in mattinata, intervistato da una radio, ha spiegato che “chi si divide sulla lotta alla mafia fa un torto a Giovanni Falcone”. Nel corso dell’evento dell’aula bunker, Salvini ha snocciolato alcuni numeri per ricordare l’impegno del governo contro le mafie, trasversalmente: “Sono più di 15.000 gli immobili sequestrati alle mafie e restituiti a cittadini ed associazioni, più di 3.000 le aziende confiscate, ripulite ed in gestione pubblica, migliaia le nuove telecamere di controllo accese in tutta Italia, quasi 3.000 le donne e uomini della Polizia assunti negli ultimi mesi”. Nel pomeriggio, assieme a Bussetti, il Ministro si recherà a scuola per un contatto con la prof censurata. Due piccioni con una fava è sempre meglio di un piccione e basta. Purché non ne faccia una ragion di Stato. Tanto meno una ragion di partito. Scettici e dissidenti sono lì che osservano.
“L’anniversario della strage di Capaci – ha cercato di placare gli animi Maria Falcone – simboleggia l’unità della nazione nella lotta alle mafie e nella difesa della democrazia, della libertà e della legalità. Il 23 maggio si rende onore non solo a mio fratello Giovanni, a sua moglie Francesca Morvillo a Paolo Borsellino e agli eroici agenti delle scorte, ma anche a tutti gli altri uomini e donne delle istituzioni che hanno sacrificato le loro vite per tutti noi”. In linea generale sì. Forse, nell’aula bunker, il concetto ha perso un po’ del suo valore.