Ciclicamente la Sicilia è preda di un’emergenza idrica. L’ultima, a cavallo tra febbraio e marzo, ha portato il governatore Musumeci a chiedere (e ottenere) poteri speciali per la gestione della crisi: dei rifiuti e dell’acqua. Ciclicamente, quando l’acqua scarseggia, si riapre anche il capitolo dissalatori. Il presidente della Regione la considera un’ipotesi valida per superare un’impasse atavica, che – per fortuna – non si è più riproposta nella gravità degli anni ’80, quando Benedetto Caffarelli, ingegnere idraulico che oggi gestisce gli impianti di Lipari e Ustica, era a capo dei lavori che avrebbero portato nell’isola tre grossi dissalatori: a Trapani, Gela e Palermo.

Quello di Palermo non fu mai realizzato perché “le divergenze erano talmente ampie – spiega l’ingegnere – che si decise di non farlo. A Gela si fece un quinto polo, in aggiunta ai quattro dissalatori che servivano il petrolchimico, per sopperire ai fabbisogni idropotabili della popolazione. A Trapani ne fu installato un altro che avrebbe dovuto pompare acqua fino agli acquedotti di Agrigento, da un lato, e Partinico, dall’altro. Inoltre si era ampliato il piccolo polo di Porto Empedocle. I dissalatori, per una quarantina d’anni, avrebbero provveduto all’approvvigionamento, per poi diventare obsoleti e fare spazio alle dighe”.

E così è stato. Ma il modo in cui, recentemente, sono caduti in disgrazia, qualche dubbio lo fa sorgere: è stata la Regione, da Raffaele Lombardo in poi, a spegnere gli impianti di Trapani, Gela e Porto Empedocle, mettendoli “fuori servizio” perché non più necessari. Alla luce del nuovo piano di Musumeci, si è trattato di una scelta quanto meno affrettata. Oggi i vecchi apparati di desalinizzazione, resi ancora più vetusti per l’aggressione dell’acqua del mare, per l’usura del tempo e per l’operato dei vandali (ogni occasione è buona per trafugare rame), sono fuori uso e abbandonati.

Ma in Sicilia piove sempre meno e la scorsa estate le temperature si sono innalzate di 2° rispetto alle medie. Forse quel vecchio ammasso di ferraglie tornerebbe utile se riattivato adeguatamente. Certo, comporterebbe costi notevoli: “A Gela la situazione è complicata, dal momento che il polo chimico che forniva energia per il funzionamento del dissalatore è stato smontato – analizza Caffarelli -. Io punterei a far ripartire Porto Empedocle, dove i consumi non sarebbero così elevati e l’impianto non è affatto superato, dato che a regime approvvigiona 200 litri al secondo; a Trapani si potrebbe renderlo meno obsoleto, anche se il costo derivante dai consumi è più alto. Forse sarebbe la volta buona per costruire un modulo a Palermo, nella zona dell’Isola delle Femmine”. Il trucco non è farli, ma evitare – poi – di trascurarli: “I dissalatori servirebbero a gestire le emergenze, ma andrebbero monitorati anche in situazioni normali. Evitando così di stimolare gli appetiti dei soliti sciacalli”.

Mentre per le isole minori i dissalatori sono delle fonti di sostentamento necessarie (“E portano ricchezza, dato che approvvigionano acqua per 2 euro al metro cubo rispetto alle 14 necessarie per il trasporto con le bettoline”), la Sicilia “continentale” non ha colto in pieno i vantaggi di questo processo. E l’impatto ambientale non c’entra nulla: “Mi si può dire che un dissalatore è brutto e può non piacere. D’altronde non stiamo parlando di una villa vista mare – riflette l’ingegnere –. Ma non che inquini. Su cinque litri d’acqua estratti, ne vengono rilasciati quattro con una salinità del 3 o 4% superiore. Può incidere nel punto di rilascio, stiamo parlando di 20 o 30 metri di mare, e si tratta comunque di episodi sporadici. E comunque l’impianto di Ustica è pure un ottimo esempio di architettura industriale”.

“Se dovesse continuare la carenza di piogge – chiosa Caffarelli – i dissalatori potranno sopperire molto bene all’uso idropotabile. Meno all’agricoltura estensiva, per cui i costi lieviterebbero. Se fossi Musumeci, però, non mollerei la questione. Anche questi impianti possono rappresentare una piccola ricchezza per il territorio”. O, senza addentrarci nell’ottica del risparmio o nelle tasche della Regione, potrebbero arginare la sete e la siccità. Evitandoci le solite e seccanti emergenze.