Fatevene una ragione, la pacchia è finita anche per voi. Sembra di sentirlo Matteo Salvini, poco prima della diretta Facebook in cui annuncia, in pompa magna, la richiesta di archiviazione formulata dalla procura di Catania nei suoi confronti. All’indomani – si fa per dire, dato che erano già passati alcuni mesi – dall’avvio dell’indagine per sequestro di persona continuato e aggravato aperta dalla procura di Agrigento e trasmessa, in un rimbalzo di competenze, al tribunale dei Ministri di Palermo (che si era dichiarato incompetente per territorio) e infine alla Procura di Catania.
Salvini si dice innocente, la Procura lo conforta. Anche se l’ultima parola sulla vicenda dovrà esprimerla il collegio del Tribunale dei Ministri catanese, che avrà 90 giorni di tempo per accogliere o respingere la proposta del procuratore Zuccaro. Intanto Salvini ha vinto: si è guadagnato l’innocenza (sub judice) sul campo. In ragione della sua azione che molti hanno tacciato come “insensibile” ma che tuttora non si è rivelata “criminale”. Il solito altarino messo su dal ministro, in una stanza del Viminale affollata di fedelissimi, è l’atto finale di una battaglia giudiziaria, la prima di questa legislatura, che fa segnare un punto in suo favore.
Più o meno con le stesse modalità di giovedì, Salvini aveva accolto la “busta gialla” che Patronaggio, il pm di Agrigento, gli aveva fatto pervenire nei primi di settembre. L’aveva spacchettata con calma, aveva annunciato al mondo che era indagato per aver – di fatto – voluto difendere i confini dalle invasioni barbariche. Spacciandola per una persecuzione. I fan, che nel frattempo crescono a dismisura (la Lega balza al 34% nei sondaggi), ci avevano creduto allora. E tirano un sospiro di sollievo adesso. Anche se forse Salvini, che si rivela un abilissimo stratega e un micidiale comunicatore, dalla “guerra” avrebbe tratto più vantaggi che non dalla pace. Fino alla prossima mossa.