Il gioco delle tre carte siciliane trova grande spazio oggi sulle pagine dei grandi quotidiani nazionali. Nel valzer gialloverde delle poltrone dei boiardi di Stato ecco una contradanza isolana, con gente che viene e gente che va. Sulle note dell’avantendrè di Giggino Di Maio, che deve aver cambiato idea su un po’ di cose. Repubblica oggi rammenta come il Capo politico nel 2016 arringava il governo Renzi contestando duramente l’operato del prefetto catanese Riccardo Carpino, che aveva appena concluso la sua esperienza da commissario per le iniziative di solidarietà alle vittime di mafia. Ai grillini Carpino proprio non piaceva. Ora il governo Conte lo ha nominato direttore dell’Agenzia del Demanio. Prima carta sicula sul tavolo.

La seconda è quella che non t’aspetti. E arriva da Bagheria, il paese di Benedetto Mineo, già golden boy cuffariano, vicecapo di gabinetto dell’allora governatore Totò Vasavasa. Pensa un po’ i giri della vita: il governo del cambiamento, dopo i suoi trascorsi a Equitalia, lo ha voluto nuovo direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

E per due grand commis siculi che entrano, uno che esce, e sui giornali fa sentire tutta la sua amarezza. Lui è Ernesto Maria Ruffini, palermitano rampollo di una blasonata stirpe di ministri e cardinali. Avvocato, già grand commis in Equitalia e già al vertice dell’Agenzia delle Entrate con Gentiloni, è stato rimosso dai grilloleghisti malgrado i buoni risultati ottenuti nel recupero dell’evasione. Più del merito, insinuano oggi all’unisono Corriere e Repubblica, poté il suo ammiccamento al renzismo, che non gli viene perdonato. “Sono onorato di aver servito lo Stato”, dice al Corriere congedandosi, mentre al suo posto s’accomoda per la prima volta un militare, il generale della Finanza Antonino Maggiore, un goriziano. Finito nel mezzo di una tarantella tutta sicula.