Deputati o disoccupati? Così Draghi al Colle è diventato un incubo

MARIO DRAGHI

La disponibilità di Draghi per la presidenza della Repubblica, per quanto prevedibile e più volte sollecitata, a leggere le reazioni dei partiti, ha aggrovigliato la scelta del successore di Mattarella.

Le difficoltà di un’intesa tra i grandi elettori lasciano incerto tutto compresa la prosecuzione della legislatura. Nel migliore dei mondi possibili ci si aspetterebbe che, di fronte alla pandemia e alle difficoltà economiche, ci fosse un ampio consenso su Draghi o su altri che, con prestigio e autorevolezza, possano garantire le istituzioni e assicurare la continuità dell’attività governativa e parlamentare in una fase di pericolosa emergenza. Nel mondo della politica, che non è il migliore dei mondi possibili, pare ci sia poco spazio per il senso di responsabilità, per gli interessi generali del Paese, per la credibilità recuperata in Europa e nel mondo.

Poche, belle parole o richiami moralistici che non hanno quasi mai orientato il corso della storia né condizionato i suoi protagonisti. Molti di quelli di oggi, che proprio protagonisti non sono, quelli di seconda e terza fila tra i grandi elettori, hanno in mente un rovello, vivono con angoscia crescente l’incertezza e si chiedono con insistenza se davanti a loro ci sia il baratro delle elezioni anticipate o se possono, viceversa, sperare di rimanere lì dove sono e dove in tanti non torneranno, ancora per un anno e mezzo. In parte, e solo in parte, capisco il loro stato d’animo e mi immagino i capannelli, le accalorate discussioni, le domande senza risposte, la ricerca affannosa di notizie e di rassicurazioni. Per quattro volte la mia permanenza alla Camera è stata prematuramente interrotta dallo scioglimento del Parlamento con il ricorso alle elezioni anticipate. I tempi sono lontani, le situazioni molto diverse, gli stati d’animo tuttavia un po’ simili a quelli di oggi. Tutte le volte che si profilava l’ipotesi, si capiva abbastanza presto quanto fossero velleitari i propositi di mettersi tutti insieme a far muro per impedire di venire travolti dalla valanga. Le decisioni anche allora passavano sulla testa dei parlamentari e il volante era nelle mani di pochi.

Vi sono alcune analogie tra quelle vicende lontane e la realtà odierna e pure molte differenze. Anche allora, certo, si preferiva continuare fino al termine normale del mandato e serpeggiavano le preoccupazioni per la sorte che le elezioni avrebbero riservato a ciascuno. Tuttavia il sistema solido dei partiti e le oscillazioni minime dei risultati del voto, offrivano qualche garanzia di rielezione o, comunque, fosse andata male, di proseguire l’impegno politico in altro modo, evitando di precipitare nel totale anonimato. Gli ospiti di Palazzo Madama e di Montecitorio, non tutti statisti, certo, non erano inoltre senza arte né parte. Avevano una professione o un’attività e, lasciando lo scranno, esito sempre doloroso, trovavano un’alternativa di vita. A quel tempo, poi, non venne mai in mente a nessuno di segare con allegra, infantile euforia, alcuni rami dell’albero sui quali si stava comodamente seduti e di scombinare la rappresentanza dei territori, con il rischio di privarne alcuni- le province più piccole- e di lasciare inalterata la sovrapposizione dei ruoli delle due camere. Con la riforma del 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari, si adottò una soluzione così, tanto per coerenza con una visione distorta per ridurre, si blaterò ai quattro venti, i costi della politica a scapito della sua efficienza, per incrociare il consenso di parte dell’opinione pubblica e farsi carico della sua, anche comprensibile, ostilità alla cosiddetta casta.

Ora, nelle condizioni date, e con le differenze esposte, posso capire, almeno in parte cosa frulli nella testa dei cinquantadue parlamentari siciliani, i più ignoti, altri alla prima occupazione, molti privi di qualsiasi titolo per inserirsi nel mondo del lavoro. Con il taglio nell’Isola i senatori si ridurranno da 26 a 13 e i deputati da 25 a 15 nel collegio occidentale e da 27 a 17 in quello orientale.

Un risultato che, detto così, e utilizzando un po’ di retorica anti-casta e ricorrendo ad opinioni grilline, non dovrebbe produrre alcun cambiamento in peggio. La permanenza degli attuali sistemi di selezione della classe dirigente, la vacuità e la liquidità dei partiti, il ridotto spessore culturale dei suoi esponenti, non dovrebbe comportare che un minor numero di parlamentari di per sé abbassi ulteriormente il livello della rappresentanza e riduca la capacità di incidere sui problemi nella nostra terra. Una vera riforma delle istituzioni, un salto di qualità nell’azione del governo e del parlamento, una burocrazia più moderna ed efficiente, un Paese più equo ed economicamente più unito, sono obiettivi che abitano in territori molto lontani da quelli del taglio e cuci.

Resta tuttavia da chiedersi, quasi per un trasporto umano, cosa succederà ai deputati di Cinque Stelle, trentasei su cinquantadue complessivi, a quelli che, inconsapevoli ed euforici, hanno imbracciato la sega per dare addosso all’albero e ora si trovano con pochi rami disponibili e con una prevedibile, consistente riduzione di consensi. Pur rimanendo per lo più sconosciuti, magari per antica solidarietà di casta, ho qualche tenerezza per la sorte di molti di loro, anche se in questi quattro anni non ho saputo di essere rappresentato a Montecitorio per esempio da Vita Martinciglio, da Paolo Ficarra o da Filippo Maria Perconti, anonimi proseguendo. Non ce ne vorranno i tre per la citazione che magari potrebbe essere la prima su un giornale. Non ce l’ho con quelli di Cinque Stelle, per pregiudizio o per ostilità, movimento del quale ho più volte ho registrato con compiacimento la difficile evoluzione e il suo arduo percorso verso la maturità. Li cito perché, insieme ai loro colleghi, restano straripanti nell’elenco dei cinquantadue deputati siciliani. La valanga elettorale del 2018, un’improvvisa botta di fortuna, l’uno vale uno, la selezione con pochi like hanno condotto a Roma molti sconosciuti, talora del tutto impreparati al ruolo. I più sanno che alle prossime elezioni la dea bendata che li ha toccati non passerà più dalle loro parti, almeno con la stessa benevolenza di quattro anni addietro.

Tuttavia, per non apparire settario, una domanda analoga me la faccio, a riguardo di altri parlamentari. Mi è sfuggito, per esempio, di che cosa si sia occupato in questi anni Fausto Raciti del Pd, un esperto nel ramo, con una lunga frequentazione della politica, o la senatrice Valeria Sudano, che ha bucato le cronache per la sua notevole agilità. Eletta nell’Udc e transitata nel Pd, poi in Italia Viva, ora è accasata con la Lega. Non so nulla di Carmelo Lo Monte, personaggio di lungo corso, andato alla Camera con Salvini e ora non so dove approdato, o di Carmela Lega deputata di Fratelli d’Italia. E tuttavia, lo ripeto, come non capire lo stato d’animo di tutti, accomunati dalla medesima preoccupazione che non è quello della migliore scelta per il Quirinale, dei metodi più efficaci per combattere la pandemia o per utilizzare i fondi del PNRR, piuttosto quella del loro futuro. Non sarà nobile, ma è umano, e suscita la comprensione, se non la giustificazione, da parte di chi ha avuto una lontana esperienza e qualche leggerissima analogia con ciò che vivono i protagonisti di oggi. Forse ho finito per usare un tono venato da qualunquismo. È proprio assai difficile resistere al contagio.

Calogero Pumilia :

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