Due stagioni al Palermo, un esonero in mezzo, ma anche un quinto posto e una finale di Coppa Italia. Con questo discreto biglietto da visita, ieri Delio Rossi è tornato a Boccadifalco per guidare il suo primo allenamento. Il tecnico romagnolo ha preso ufficialmente il posto di Roberto Stellone, esonerato dal presidente Rino Foschi all’indomani del pareggio interno con il Padova (1-1) che ha complicato la rincorsa al secondo posto e, di conseguenza, la promozione diretta in Serie A. Rossi è di nuovo l’allenatore del Palermo a distanza di otto anni. Quando in punta di piedi e ormai in rotta di collisione con Zamparini – che pure l’aveva definito il miglior allenatore sotto la sua gestione – convocò una conferenza stampa per salutare tutti, ricordando che “i presidenti passano, il Palermo resta”. L’arrivo di Delio Rossi coincide con una stuzzicante novità a livello societario: è stato siglato infatti il preliminare che prevede il passaggio di proprietà a un gruppo italiano, la Arkus Network, per ridisegnare il futuro. Rossi non ha la pretesa di esserci anche in futuro: il suo destino, intanto, è legato alle ultime quattro gare di campionato. Vincerle tutte significherebbe evitare la fastidiosa appendice dei playoff. Ma attenzione: sarebbe sbagliato anche solo pensare che Delio Rossi a Palermo è garanzia di successo.
In questi lunghi anni sono cambiati sia l’uno che l’altro. Delio è reduce da un’ultima esperienza in Bulgaria, al Levski Sofia: la prima stagione, incoraggiante, è culminata col terzo posto nella massima serie, la seconda si è ridotta a un esonero dopo una partenza lenta. La sua ultima squadra italiana è stata il Bologna: presa nel 2015, a tre gare dalla fine del campionato di B, è riuscita a riportarla in A dopo alcune gare di playoff entusiasmanti. E’ l’entusiasmo che serve al Palermo. Un ambiente fin qui depresso e deperito a causa delle note vicende societarie che hanno condizionato il cammino della squadra. Rossi nel 2009-10 si presentò al posto di Walter Zenga, che in estate aveva promesso lo scudetto. Lui, con una lenta risalita, si assicurò il quinto posto e la qualificazione all’Europa League, non riuscendo per pochissimo a difendere la quarta piazza dagli attacchi della Sampdoria. L’anno seguente venne esonerato da Zamparini dopo un tragico 0-7 casalingo con l’Udinese, e richiamato dopo che il suo successore, Serse Cosmi, andò a sbattere contro il Catania. Il campionato terminò all’ottavo posto, ma resta la chicca della finale di Coppa Italia, persa solo contro l’Inter.
Rossì andò via. Il suo caratteraccio, a volte, gli fece guadagnare titoloni di cui avrebbe fatto a meno: a Firenze litigò pesantemente con l’attaccante Adem Ljajic e fece a pugni in panchina, dopo una sostituzione. Gli cosò anche l’esonero. Poi arrivò la Samp, dove restò due mezze stagioni senza fare sfracelli. Poi il Bologna, con la promozione in A e l’esonero l’anno successivo, dopo aver raccolto 6 punti nelle prime dieci giornate. Adesso rieccolo a Palermo: “E’ un debito di riconoscenza nei confronti del Palermo, probabilmente se l’avesse fatto un’altra squadra avrei detto no, sapendo che non sono mago Merlino e non impongo le mani e risolvo tutti i problemi. Se avessi ragionato razionalmente avrei dovuto dire di no, ma nel momento stesso in cui mi chiama il Palermo non ho fatto tutte queste valutazioni. Penso che Palermo abbia vissuto l’apice sotto la mia gestione, poi sono andato via, ma sono stato rispettato come uomo e come professionista e quindi ero in debito con questa città, che adesso è in un momento difficoltà. Mi hanno chiesto di dare una mano e non ho saputo dire di no. Ho entusiasmo e voglia di fare e queste quattro gare ci giudicheranno sotto questo aspetto”.