Ha fatto tutto lui. In autunno ha stretto un accordo con Matteo Salvini, federando il suo Mpa al Carroccio (per la seconda volta) in vista delle Europee. In primavera è uscito dall’accordo denunciando il sabotaggio dei leghisti siciliani (cioè Sammartino). Il giorno dopo s’è recato in visita da Schifani e Caruso per ascoltare i progetti di Forza Italia. Quello dopo ancora – anche se non ufficialmente – ha scelto i suoi cavalli per Bruxelles: Edy Tamajo e Caterina Chinnici. In pratica, decidendo di “svendere” i propri voti. Raffaele Lombardo è uno dei protagonisti di questa campagna elettorale. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano, ma il simbolo della colomba bianca non comparirà in alcuna lista.
E’ questa, forse, la sconfitta più grande. Non trovare rappresentatività in Europa ma neppure sulla scheda elettorale. Lombardo non avrebbe potuto ambire (davvero) a spedire Roberto Di Mauro, assessore all’Energia e suo braccio destro, a Strasburgo. Ma per un attimo aveva quasi convinto Annalisa Tardino che il suo appoggio sarebbe diventato determinante per la sua rielezione. A un certo punto, non aveva escluso neppure una candidatura in prima persona: anche se quel “mai dire mai”, pronunciato durante un’amabile conversazione coi giornalisti a Ragusa, al congresso del Mpa, è stato ritrattato qualche giorno dopo con un “Mai e poi mai”. Significava averci rinunciato. Non solo all’impegno personale, ma anche al sogno europeo.
Lombardo è il Cesa siciliano. O forse l’anti-Cesa, mettiamola così. Mentre il segretario nazionale dell’Udc, che non ha un voto, trova comunque il modo di incunearsi nelle squadre blasonate del centrodestra (è appena successo con Salvini), sfruttando un eccesso di benevolenza, l’altro, che i voti ce li ha eccome, non trova il modo di esprimerli. Chiunque mandi in Europa grazie al suo aiutino – men che meno la Chinnici – non potrà garantirgli la rivendicazione del pensiero autonomista al parlamento UE. E allora, a cosa servono questi voti? La politica, seppure imprevedibile, non contempla che si offra il sostegno all’uno o all’altro candidato senza avere nulla – di lecito – in cambio. Ma soprattutto che lo si faccia con le accortezze utilizzate da Lombardo nei confronti di Schifani.
Fino a qualche mese fa erano nemici giurati. Non solo l’ex governatore rispose un bel due di picche quando il presidente della Regione osò invitare sia lui che l’arcirivale Cuffaro nel listone di Forza Italia (tentativo abortito sul nascere); ma gli si scagliò addirittura contro per alcune “pratiche indegne” che andavano in scena a Palazzo d’Orleans (“L’autonomia confligge con la pratica che io vedo esercitare indegnamente da quelle parti, dell’adulazione, della delazione e del servilismo”). E fu addirittura peggio nel contest della sanità: con Schifani impegnato a difendere la lista dei 47 nomi considerati “maggiormente idonei” nella corsa per le poltrone da direttore generale, e l’altro a ribadire che l’unica lista era quella degli “idonei”, un centinaio.
Anche sul fronte dell’energia ardevano i rancori: Schifani, da sempre legato alla prospettiva di due termovalorizzatori, provò a fare fuori l’assessore Di Mauro, che vacillava sulla bontà del progetto (sia per una questione economica che di opportunità); Lombardo invece lo difendeva. “La sanità siciliana è in ginocchio – disse il leader Mpa -. Di questo ci si dovrebbe occupare, non di espropriare un assessore capace, bravo, volenteroso e trasparente come Roberto Di Mauro dalle competenze sui rifiuti e sui termovalorizzatori”. E’ finita con Schifani commissario e Di Mauro in panchina. Anche se ora è libero di frequentare gli incontri della cabina di regia che proporrà soluzioni all’emergenza siccità.
Pure sul Ponte, e sulla cifra “scippata” da Roma (1,3 miliardi a valere sui Fondi di sviluppo e coesione), i due erano di correnti di pensiero diverse. Tanto che Lombardo, di fronte alla denuncia di Schifani per il mal tolto (poi derubricata a “errore di comunicazione”), si compiacque con Salvini: “Oggi è la sconfitta dei ricattucci, delle minaccette e delle squallide manovre!”. Non sono mancate le incomprensioni pure sul territorio: a Siracusa, ad esempio, i forzisti hanno denunciato le manovre del Mpa, che ha aderito alla giunta di Francesco Italia. Eppure, nonostante tutto, oggi Schifani e Lombardo si ritrovano insieme. Sfruttando, entrambi, l’inevitabile attrazione delle urne e l’irriducibile voglia di consenso. Solo che i voti di Lombardo finiranno per gonfiare il risultato di Forza Italia; determinando, magari, anche gli equilibri interni in favore del governatore (e di Tamajo). Ma cosa ne verrà al Mpa? Un incarico di sottogoverno? Una partecipata nazionale come quella promessa dalla Lega? Un altro posto in giunta?
Vi faranno credere che no, non è nulla di tutto questo. Ma Lombardo, con queste manovre pre-elettorali, si candida ufficialmente a diventare il primo sconfitto della competizione. E allora diamo a Cesa quel che è di Cesa: lui sì che ce l’ha fatta. E senza regalare un solo voto dei suoi. Semplicemente, non ne ha.