Una pioggia battente e inattesa che stronca l’epidemia è forse la visione salvifica sognata ovunque da quando la pandemia da Covid-19 ha stravolto le nostre vite. Leggenda dice che un tale miracolo accadde a Palermo nel luglio del 1625, quando la città fu liberata dalla peste che la flagellava da lunghi mesi, per intercessione della vergine Rosalia, bionda principessa normanna poi divenuta Santa protettrice della città: un forte temporale investì la processione a lei dedicata e, da quel momento, all’improvviso, la peste finì. Questo evento prodigioso viene celebrato ogni anno in questi giorni con messe, preghiere, festeggiamenti e si conclude con fuochi d’artificio che durano ore, il cui finale è la famosa “masculiata”, il momento ultimo, esorbitante e assordante, dei giochi pirotecnici. Il capoluogo siciliano si prepara al secondo anno di festeggiamenti in tono minore, a causa delle restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria e, il 15 luglio, giornata del famoso “Festino” di Santa Rosalia, il carro trionfale verrà trasportato –senza pubblico- dalla polizia municipale, insieme alla protezione civile, lungo l’asse di corso Vittorio Emanuele, attraverso i Quattro Canti della città, per poi raggiungere piazza del Parlamento, davanti al Palazzo dei Normanni.
Al di là di queste limitazioni, la città vive comunque un momento di grandi aperture ed è in questo luogo simbolico, il Palazzo Reale, che da oggi si celebra, attraverso una grande mostra, la ripresa di importanti produzioni culturali con la prima esposizione di arte contemporanea promossa dalla Fondazione Federico II, custode della storia millenaria di Palermo. Non è un caso che la mostra sia dedicata al vasto tema dell’acqua nelle sue diverse accezioni che, nei secoli e nelle culture diverse, ha sempre messo in collegamento religione, filosofia, ritualità e arte, il quotidiano e il sacro. Questa materia, declinabile all’infinito, è trattata nell’esposizione dal titolo, Purification [From Bill Viola to the Palatine Chapel], allestita nelle Sale Duca di Montalto, organizzata dalla Fondazione Federico II e il Bill Viola Studio, curata da Kira Perov e Patrizia Monterosso, direttrice dell’istituzione siciliana. Il progetto è di ampio respiro, costruito intorno alla simbologia cosmica e taumaturgica dell’acqua, che accomuna tutte le culture nel mondo. Un’idea espositiva che pone in relazione diacronica il passato e il presente, l’Occidente e l’Oriente, utilizza il dispositivo catalizzatore dell’arte contemporanea, attraverso l’opera del Maestro indiscusso della video-arte, lo statunitense Bill Viola (New York, 1951). La preparazione della mostra è durata più di un anno tra ricerche e incontri su Zoom, in cui l’australiana Kira Perov, dal 1978 stretta collaboratrice e moglie dell’artista newyorchese, nonché direttrice del Bill Viola Studio a Long Beach in California, si è confrontata con il team della Fondazione Federico II per l’accostamento di cinque video installazioni dell’artista con oltre trenta reperti (tra cui lastre archeologiche, bacili medievali, fonti battesimali, acquasantiere, paliotti ricamati, maioliche e sculture rinascimentali) prestati dai più importanti musei regionali siciliani, nonché da diversi enti ecclesiastici e dall’Eparchia. Il risultato è la trasfigurazione dello spazio espositivo originario e la creazione di una grande unica installazione dove il buio è attraversato da lame di luce che provengono dai video, in cui lo spettatore è invitato a fare un’esperienza “immersiva” tra spazio, immagine e suono. Questa è la cifra peculiare del lavoro artistico di Viola, dalle prime sperimentazioni degli anni Settanta fino alle grandi installazioni successive al Duemila. Come ha affermato Philippe Dubois, docente e studioso dei mezzi di comunicazione, con le video installazioni lo spettatore diventa egli stesso “montatore e narratore” perché è libero di scegliere il percorso espositivo attraverso la mostra e decidere quale schermo guardare prima in un racconto non sequenziale.
La particolarità di questa mostra è nel momento storico in cui essa viene proposto al pubblico, il contesto dell’allestimento -nello stesso palazzo storico che ospita la Cappella Palatina icona multiculturale di sacralità- e nella preziosità dei reperti con i quali le cinque installazioni dell’artista entrano in dialogo. Come afferma Patrizia Monterosso, nel testo in catalogo, firmato insieme allo storico dell’arte Giovanni Battista Scaduto, «Per Bill Viola è importante fare riferimento a queste reminiscenze storico-artistiche per testimoniare e ribadire, con la sua azione tecnica e creativa, che nei secoli le tematiche esistenziali e la funzione emotiva dell’arte non sono cambiate nella loro sostanza. Variano certamente lo strumento, il mezzo, la tecnica attraverso cui gli artisti esprimono quella dimensione. Quindi i reperti in mostra rappresentano simbolicamente l’acqua concepita nei vari contesti culturali. Essi sono l’espressione di tecniche artistiche che testimoniano la potenza simbolica dell’arte nei secoli. Per questo le opere in mostra sono da riconcepire nel loro contenuto concettuale, spirituale e/o sacro. I reperti vengono, quindi, concepiti in tale accezione oltre la loro materialità, divenendo simbolo di un significato profondo e universale rispetto alla percezione della loro bellezza e della loro portata storico-contestuale. Occorre perciò recuperare in Bill Viola l’essenza di una produzione dove lo strumento tecnologico sofisticato lascia intatto il contenuto di spiritualità dell’elemento primordiale acqua (così come ogni altro elemento cosmico)».
L’acqua rappresenta il simbolo attraverso cui l’uomo realizza il desiderio innato di comprendere la creazione, la nascita e la morte, come espresso nelle cinque celebri opere che Viola porta in Sicilia per la prima volta, dedicate al tema del martirio e dell’ascensione: Tristan’s Ascension (The Sound of a Mountain Under a Waterfall), del 2005 e Air Martyr, Earth Martyr, Fire Martyr e Water Martyr, tutti realizzati nel 2014. Il primo video, Tristan’s Ascension, fa riferimento diretto alle parole dell’artista che afferma come l’arte sia «un processo di risveglio dell’anima»: in uno spazio vuoto e buio il corpo di un uomo giace su una grande pietra dove cadono gocce d’acqua via via più frequenti con il passare dei minuti. Quella che sembra una pioggerella leggera si trasforma gradualmente in una tempesta, una cascata d’acqua che sembra riportare in vita il corpo, come nella Trasfigurazione di Gesù. Il risveglio dell’uomo inizia dai movimenti delle braccia seguiti dal sollevamento del busto, in un’ascensione verso l’alto, come nelle pale d’altare rinascimentali, mentre la cascata d’acqua diminuisce fino a terminare. Come afferma Kira Perov nell’intervista in catalogo, in questo lavoro l’acqua rappresenta «un capovolgimento della morte, un trionfo sul mondo materiale, con la forza di questo potente elemento che aiuta l’uomo nella sua liberazione». Al contrario, nella video installazione dal titolo, Water Martyr, l’acqua rappresenta la lotta dell’uomo prima della sua definitiva accettazione dell’inevitabile morte. Nelle altre tre video-installazioni della serie dei Martyrs, il simbolismo colto e complesso di Bill Viola introduce il visitatore alla riflessione e alla ricerca del senso profondo della vita, rappresentando la capacità dell’uomo di superare il dolore e le difficoltà, come i suoi martiri violentati dalla forza degli elementi cosmici, Acqua, Aria, Terra e Fuoco.
L’acqua è stata sempre per Viola una “materia prima” privilegiata da utilizzare come allegoria capace di esprimere il senso della ciclicità della vita. Come nell’apparire e scomparire nell’acqua nel video monocanale, The Reflecting Pool (1977/1979), dove un nuotatore si lancia nudo in uno specchio d’acqua salvo poi dissolversi, nel tempo, nello spazio e nelle cose. Oppure, nella celebre installazione realizzata trent’anni dopo, Ocean Without a Shore (2009), per la 52° Biennale d’Arte di Venezia con i video monitor allestiti sopra gli altari della chiesa di San Gallo, a pochi passi da San Marco. In quest’opera l’acqua viene concepita come un elemento che divide i due mondi della vita e della morte. Inizialmente i 24 attori protagonisti si vedono distanti, avvolti dal grigiore. Con fare deciso, oltrepassano una scrosciante cortina d’acqua e acquistano vigore e colore, come se tornassero in vita. Questa dimensione però, non sembra essere più quella dei vivi e, voltandosi, ritornano al loro mondo grigio e funebre. L’acqua rigenera ma anche trascina nell’abisso. E’ un riconoscimento del valore di questo elemento come forza naturale dinamica e il ruolo cruciale che esso ha giocato nell’iconografia dei grandi maestri della pittura e, come afferma l’artista, «Ho capito che i vecchi maestri non erano altro che giovani radicali». Sono ormai celebri le installazioni di Viola che hanno avuto come fonte di ispirazione le iconografie della pittura rinascimentale italiana. Una ricerca iniziata dopo la presenza al Padiglione americano alla Biennale del 1995 che lo ha portato a citare famose tavole e pale d’altari, come la Deposizione di Masolino in Emergence, 1995 o la Visitazione del Pontormo in The Greeting, 2002, che sono diventate nelle sue opere veri e propri quadri in movimento. Entrambe le installazioni sono state esposte recentemente nella grande retrospettiva, Rinascimento elettronico, ospitata al Palazzo Strozzi di Firenze nel 2017 che ha sottolineato anche il profondo legame dell’artista con l’Italia e la città fiorentina. Fu infatti proprio lì che l’artista ha iniziato la sua carriera nel campo della videoarte quando, tra il 1974 e il ’76, è stato direttore tecnico di art/tapes/22, centro di produzione e documentazione del video fondato da Maria Gloria Conti Bicocchi che divenne il punto focale in Europa per la produzione di videotape.
Come afferma Valentina Valentini, docente di Arti Performative e Arti Elettroniche e Digitali presso il dipartimento di Storia dell’ Arte e Spettacolo dell‘Università “La Sapienza” di Roma e una delle maggiori studiose mondiali di Bill Viola, già in un libro del 1993, tra i tanti che ha dedicato all’opera dell’artista: «le installazioni di Bill Viola si qualificano per una loro marcata natura teatrale dovuta innanzitutto all’aver sostituito la scatola televisiva come dispositivo contenitore e trasmettitore di immagini con uno spazio dinamico in cui le immagini ottiche- sonore interagiscono con lo spettatore, lo inseguono, lo riflettono. Grazie agli schermi di proiezione le immagini si sono liberate dalla prigione della cornice televisiva e fluttuano sulle pareti trasparenti, ruotanti, specchianti». Fu proprio all’inizio degli anni Novanta che i lavori di Bill Viola furono esposti per la prima volta in Sicilia, ospitati all’interno della Rassegna Internazionale del video d’autore, nata nel 1987 nell’ambito di Taormina Arte, con la direzione artistica di Valentina Valentini, che contribuì a promuovere e riflettere sulla video arte, radicalmente innovativa all’epoca. L’anno scorso, la studiosa ha dato alle stampe la raccolta, Bill Viola. Testi e conversazioni 1976-2014 (Sciami edizioni, 2020) che include i dialoghi con Raymond Bellour, Hans Belting, Lewis Hyde e altri, dando voce diretta all’artista che manifesta il suo pensiero, ricostruisce il processo di lavoro, dichiara le fonti di ispirazione e le motivazioni: un pensiero che gode della fluidità dell’oralità e, nello stesso tempo, si dispiega in una struttura coerente sulla pagina.
Attraverso le sue parole, è molto interessante approfondire la vita e il pensiero di questo artista formatosi nell’ambiente della controcultura californiana, che come batterista ha fatto parte del gruppo musicale Rainforest del compositore sperimentale David Tudor, ha viaggiato in tutto il mondo e approfondito la sua poetica attraverso l’incontro con il Sufismo Islamico, il misticismo cristiano e il Buddismo durante il lungo soggiorno in Giappone all’inizio degli anni Ottanta che gli ha permesso sia lo studio delle tecnologie avanzate del video che approfondire i suoi interessi per le filosofie orientali studiando con Daien Tanaka, pittore monaco zen.
Visitare una mostra di Bill Viola richiede tempo e pazienza, perché le immagini scorrono talmente piano da risultare quasi fisse alla nostra vista, come fossero dipinte. I video vengono rallentati e questo, secondo l’artista, rende lo spettatore più attento alla tecnica del lavoro, ai movimenti degli attori e ne deriva una nuova considerazione sul fluire della vita, sull’affiorare e sul dissolversi delle immagini, sulla percezione della memoria ed infine sull’arte passata e presente. Un’esperienza oggi resa ancora più attuale perché il tempo accelerato del presente ci spinge sempre più verso l’inconsapevolezza e l’alienazione.