Abbiamo tanto parlato di sanità – del suo sfascio e delle sue disperazioni – che mi è venuta voglia, come si addice a un vecchio cronista, di mollare per alcuni giorni carta e penna, di ricoverarmi in un ospedale, di sottopormi a un intervento chirurgico e di vedere l’effetto che fa. E sì. Basta con la narrazione di esperienze che non ci appartengono. Voglio avvertire il brivido arcano del bisturi che, serpigno, si ingrotta nel mio corpo, tra le stelle filanti delle flebo e le luci colorate dei monitor; voglio assaporare la soave apnea dell’anestesia – una discesa negli inferi blandi delle paure – e poi vivere il momento stridulo del risveglio e il lento ritorno alla percezione, anche se punteggiata da mille dolori. Fidatevi. Per una settimana non leggerete le “operette immorali”, ma dopo – io speriamo che me la cavo – sarà uno scintillio di cronaca e varietà.