Il centro che fatica a rinascere potrebbe aver trovato la sua nuova guida: Totò Cuffaro. Sembra uno scherzo nel destino, ma nel momento di maggior compressione dei moderati – anche all’Ars spirano venti di crisi – l’ex presidente della Regione ha deciso di tornare in campo. Non per candidarsi a qualcosa, d’altronde è stato interdetto dai pubblici uffici a seguito della condanna per favoreggiamento aggravato alla mafia; ma allo scopo di “formare dei giovani che possano costituire la nuova classe dirigente di una politica che guardi alle idee e sia preparata, per poter poi entrare nelle istituzioni”. Questi giovani, che al momento non si doteranno di un’appartenenza politica (“Non avrei problemi se andassero nella Lega o nel Pd” ha detto l’ex governatore a “Il Sicilia”) potrebbero già essere in campo alle prossime amministrative, sancendo una volta per tutte – magari nelle vesti di allenatore – il ritorno in gioco di Cuffaro. Che di consigli, negli anni post-Rebibbia, ne ha dispensati parecchi, anche e soprattutto in prossimità degli appuntamenti elettorali.
Lo stesso Cuffaro, più volte dalle colonne di Buttanissima, aveva tentato di ridurre al centro gli estremismi, e palesato una certa nostalgia per la Democrazia Cristiana, che però non può diventare un cavallo di battaglia solo di alcuni (altrimenti, per dirla con l’ex ministro Saverio Romano, rischia di ridursi a uno scimmiottamento). La Sicilia, che da sempre ha rappresentato un laboratorio politico di idee, stavolta ha dato il via libera a Matteo Renzi, fin qui l’unico a sperimentare una via alternativa al proliferare dei sovranismi (a destra) e al blocco della sinistra di Zingaretti (che include ormai il Movimento 5 Stelle). Ma in pochi si sono accodati. Il super-ego del suo leader, evidentemente, non fa presa all’interno di un’area che lo stesso Musumeci, di recente, ha definito “una cerniera con l’elettorato dell’indecisione e dell’astensionismo”.
Insomma, i centristi non vanno più a votare e potrebbe non accadere nemmeno con il senatore di Firenze. Servirebbe un progetto unitario, o un’idea innovativa – chiamatela pure “federazione” – che riesca a coinvolgere i vecchi commilitoni. Lo stesso Romano, reduce dall’ottima affermazione alle Europee (che non gli è valso, però, un seggio a Bruxelles), ha ammesso “le difficoltà che ci sono oggi nel ricomporre il centro”. Era stato l’ultimo a lanciare l’idea – è trascorso più di un anno a mezzo – da Cefalù, alla convention del suo Cantiere Popolare. I suoi interlocutori, da un lato Miccichè dall’altro Musumeci, dopo l’iniziale entusiasmo non si sono accodati. Solo alle ultime Europee Forza Italia ha ospitato in lista un po’ di vecchi amici, fra cui Romano e l’Udc, riuscendo a sfondare il muro del 17%. Riportando a galla una voglia di fare squadra che oggi sembra di nuovo sopita.
Strani movimenti si sono manifestati, infatti, anche all’interno dell’Assemblea regionale siciliana, dove il plotone dei centristi è sempre più risicato. Il gruppo dei Popolari e Autonomisti, che ha riunito nella stessa lista i seguaci di Romano e quelli dell’ex nemico Raffaele Lombardo, conta su cinque deputati e tre assessori (Lagalla, Cordaro e Scavone): in caso di rimpasto una poltrona rischia di saltare. Mentre l’Udc, a fronte di un paio di assessori (Turano e il veneto Pierobon), mantiene cinque deputati. L’ultimo ad aver aderito è stato Danilo Lo Giudice, giovane sindaco di Santa Teresa di Riva. Uno, Giovanni Bulla, è appena saltato sul Carroccio, mentre un’altra, Margherita La Rocca Ruvolo, rischia di cedere alla tentazione di farsi sovranista con Fratelli d’Italia. Sarebbe intervenuto Lorenzo Cesa in persona per dissuaderla. Il partito della Meloni, secondo gli spifferi di palazzomercato, starebbe tentando anche Roberto Di Mauro, vice-presidente dell’Assemblea e autonomista convinto, dopo aver strappato a Forza Italia Cannata e Lentini. I Popolari e Autonomisti hanno perso per strada Pippo Gennuso (approdato a Ora Sicilia) e Marianna Caronia, che, eletta con Forza Italia, aveva aderito per un breve periodo prima di un doppio carpiato fra i banchi della Lega.
E’ come se al centro mancasse una prospettiva. Ideologica, ma anche di poltrone (e da qui a due anni e mezzo non può che peggiorare). I partiti, però, non si costruiscono nel palazzo ma fuori. E al momento non c’è nessuno che abbia voglia di raccogliere l’eredità della Democrazia Cristiana. Nessuno a parte Cuffaro. Berlusconi aveva lanciato l’idea dell’Altra Italia, finita come un gatto in tangenziale. E non ci sono molti esperimenti in corso, a parte quello di Calenda, ex ministro allo Sviluppo Economico che in Sicilia qualcuno ha acchiappato (ad esempio il sindaco di Siracusa, Francesco Italia). Forza Italia è debole, Lombardo non pervenuto. Il centro ha perso la capacità di aggregare, è stato confinato – dai Cinque Stelle prima e da Salvini poi – a ornamento delle istituzioni. Quasi a un concetto astratto. Quando timidamente ricompare è già una notizia. Anche un notabile come Totò Cardinale, che ha fatto della sua appartenenza alla Dc motivo di vanto, appare sconsolato. Non si è opposto quando gli allievi Tamajo e Picciolo, confluiti in Sicilia Futura per allargare il Pd, si sono ritrovati fra le braccia di Renzi (e dove, sennò?).
“Il centro è luogo del confronto, della discussione, dell’ascolto, in cui si risolvono i problemi senza enfatizzarli – ha detto Cardinale di recente, intervistato da Buttanissima -. Berlusconi potrebbe pensare a un nuovo soggetto politico capace di muoversi sul terreno del riformismo laico, liberale, risorgimentale e cattolico. Prima o poi verrà fuori un Cavour, capace di tessere una trama, e ridare uno spazio e una speranza a quanti vogliono una politica ragionata e non gridata, fatte di proposte e non solo di proteste”. Ma questo partito della proposta, anziché della protesta, sembra piacere sempre meno. La gente, piuttosto, preferisce rimanere a casa.