Il fatto è che Renato Schifani si sente il più furbo di tutti. Dopo essersi intestato il successo elettorale delle europee – ma lui ha contribuito sì e no con un pugnetto di voti – ha annunciato che non ci sarà trippa per nessuno dei gatti che hanno portato acqua al mulino di Forza Italia: ha dato il benservito a Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, ha notificato un preavviso di sfratto a Mimmo Turano e ha lasciato a bocca asciutta persino Edy Tamajo che, forte delle centoventi mila preferenze conquistate il 9 giugno, forse aspirava a un trasferimento dalle Attività Produttive al ricco assessorato della Sanità. La Regione è un feudo tutto suo, ha fatto sapere il governatore. Una privativa da gestire in società con Gaetano Armao, l’opaco avvocato d’affari al quale aveva già delegato i poteri sui fondi europei e che dal 15 luglio, dopo l’insediamento di Marco Falcone a Bruxelles, potrà mettere le mani – direttamente o tramite un uomo di sua fiducia – sull’altra metà del Bilancio; cioè della spesa pubblica.
Il rimpasto prossimo venturo servirà esclusivamente per completare questa infausta manovra. Le vecchie volpi, come Cuffaro e Lombardo, hanno annusato il pericolo e hanno già lanciato segnali precisi. Lombardo ha rilasciato una dichiarazione con la quale finge di difendere Roberto Di Mauro, l’assessore autonomista all’Energia, che Schifani ha arbitrariamente iscritto nella lista nera di coloro che non lo informano delle cose e lo costringono perciò a rovinose cadute dal pero. Mentre Cuffaro ha fatto sentire il peso della sua potente Dc con una mossa ancora più sofisticata: ha preso al balzo la questione dell’aeroporto di Palermo e si è apertamente schierato per la privatizzazione. Un colpo al cuore per un presidente della Regione che vive di sottogoverno e che passa la maggior parte del tempo a distribuire incarichi e privilegi non solo al suo cerchio magico, non solo ai pagnottisti che gli inondano mani e piedi di saliva, ma anche agli amici, vicini e lontani, che sistematicamente vanno in pellegrinaggio a Palazzo d’Orleans col solo obiettivo di baciargli la pantofola e ottenere comunque una bocconata di denaro pubblico.
Lui si sente il più furbo di tutti, però gli altri fessi non sono. Hanno capito che Schifani vuole portarsi a casa, con il bluff del finto rimpasto, tutta la posta in gioco. Hanno capito che a lui non importa un fico secco della Sanità: se gli importasse avrebbe licenziato da almeno un anno quel fantasma di assessore chiamato Giovanna Volo. E hanno capito pure che non gli importa nemmeno della siccità: avete visto le immagini del (fu) lago di Pergusa? Uno scempio. In un’epoca in cui non si distrugge più nulla e si conserva tutto come reliquia ambientale, la desertificazione, – che avanza in Sicilia senza mai incontrare un ostacolo, un invaso, una diga – ha prosciugato addirittura il lago naturale di Proserpina, un prodigio architettato dagli dei e che in Ovidio era già un motivo di incanto e di devozione.
Hanno capito e lo accerchiano. Con critiche e avvertimenti. Pensate: sono insorti – in difesa di Elena Pagana, altro assessore finito nella lista nera di coloro che non lo informano – anche i patrioti Salvo Pogliese e Giampiero Cannella. E, con uno sberleffo, ha fatto sentire la propria vocina anche una suffragetta del Gruppo Balilla: un modo gentile e obliquo per dire a Schifani che la corrente turistica di Fratelli d’Italia perdona tutto – rimpasti di governo e intrighi di sottogoverno – a patto che non si scoperchi il pentolone maleodorante di SeeSicily, di Cannes, del Bellini International Context e di tutte le tavolate imbandite allegramente dall’assessorato di via Notarbartolo tra il 2019 e il 2022. Un triennio di scialacqui e spacconate, di arroganze e spregiudicatezze, di scandali e follie.