Un disastro dietro l’angolo. Le Sezioni riunite della Corte dei Conti, al termine dell’udienza andata in scena presso l’Aula magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, hanno sospeso il giudizio di parifica del rendiconto 2020, evidenziando alcune enormi pecche risalenti alla passata gestione, quella di Gaetano Armao e Nello Musumeci. E “sollevando, con una separata ordinanza, la questione di legittimità costituzionale”. La principale criticità, come temuto alla vigilia, riguarda il ripiano del disavanzo da 2,2 miliardi, avvenuto su base decennale e non triennale (in base a decreto legislativo suscettibile di incostituzionalità): mancano all’appello 866 milioni di euro che adesso il nuovo governo dovrà recuperare a partire dalla prossima sessione di Bilancio. In attesa che sia la Consulta a pronunciarsi nel merito.
Tra le altre voci dichiarate ‘non regolari’ dai magistrati anche lo stato patrimoniale e il conto economico. Contestate altre spese: 94 milioni relativi al trasporto pubblico, 74 alla sanità. Anche i debiti fuori bilancio sono finiti nel mirino dei magistrati. Mentre dal fondo perdite della società partecipate, da sempre un boomerang per palazzo d’Orleans, mancherebbero circa 7 milioni. In particolare, “è alquanto evidente il ritardo sulle riforme strutturali e sull’adozione di interventi correttivi e/o migliorativi sulle diverse aree di gestione economico-finanziaria, contrassegnate da indici di priorità per il recupero dell’economicità e dell’efficienza della spesa, come da tempo evidenziato e sollecitato dalle Sezioni riunite nei giudizi di parificazione dei precedenti esercizi finanziari”.
La questione dirimente, comunque, è quella relativa al disavanzo. In particolare, per l’esercizio 2020, secondo i magistrati “si è verificato un sottodimensionamento del valore complessivo degli stanziamenti a titolo di spesa per il disavanzo di amministrazione complessivamente pari a euro 461 milioni e 889 mila euro assegnati all’interno di alcuni capitoli del Conto del bilancio, rispetto a quelli effettivamente da iscrivere, con una differenza negativa di 866 milioni e 903 mila euro. Per la Conte dei conti, quindi, si ritiene che le argomentazioni adottate dalla Regione “non siano sufficienti a superare il problema dell’efficacia non retroattiva della legge”.
L’assessore Marco Falcone, però, non si arrende all’evidenza e cerca una sponda nel governo Meloni: “Non ci sentiamo obbligati ad accantonare 866 milioni, il pronunciamento della Corte dei Conti non è paralizzante. Da lunedì ci confronteremo col governo Meloni, con il Mef e con il Parlamento a cui chiederemo una norma interpretativa che dia ragione alla Regione siciliana, facendo venire meno il motivo del contendere davanti alla Corte Costituzionale”. Anche il giudizio di Schifani è netto: “Pur non condividendo tale iniziativa che, a onor del vero, avrebbe potuto essere portata avanti un anno fa e non lo è stata, ci attiveremo perché il Governo e il Parlamento nazionali possano confermare tale facoltà. Riguardo alle altre partite che sono state contestate, le valuteremo per apportare i dovuti correttivi”.
La pubblica udienza si è tenuta alla presenza del Presidente della Corte dei conti Guido Carlino e delle autorità regionali, tra cui il governatore Renato Schifani (che non ha preso la parola), l’assessore all’Economia Marco Falcone e il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno. Presente anche il ragioniere generale della Regione, Ignazio Tozzo, fra i più attivi durante il contraddittorio in sede di pre-parifica, il 21 novembre scorso. Il collegio delle Sezioni Riunite per la Regione siciliana era presieduto dal presidente Salvatore Pilato, mentre a illustrare la relazione sono stati i magistrati Tatiana Calvitto e Giuseppe Massimo Urso.
Nella sua requisitoria di 97 pagine predisposta per l’udienza in corso sul giudizio di parificazione del rendiconto del 2020 della Regione siciliana, il pm della Corte dei Conti, Maria Rachele Aronica, aveva chiesto alle Sezioni riunite di parificare il conto del bilancio ad eccezione del ripiano del disavanzo e trenta capitoli del bilancio che riguardano entrate, spese e residui (attivi e passivi).
Per quanto riguarda lo stato patrimoniale, la Procura ha contestato alla Regione di non avere fatto la ricognizione straordinaria con la rideterminazione “del suo corretto valore, di non avere costituito il registro unico dei beni inventariali, “la ricapitalizzazione sistematica di società con perdite gravi e reiterate” e “la tardiva elaborazione della conciliazione dei rapporti di credito e di debito tra le società partecipate e la Regione”. Inoltre, la Procura segnala la mancanza “di un adeguato sistema di controllo e di verifica sui rapporti finanziari e patrimoniali con gli enti strumentali”, un vulnus che “non può che peggiorare la già di per sé grave assenza di qualsiasivoglia evidenza contabile in merito alle refluenze delle risultanze dei rendiconti degli enti in questione sullo stato patrimoniale della Regione”.
Durante le sue introduzioni, il presidente Pilato aveva riconosciuto “la correttezza istituzionale del presidente della Regione, Renato Schifani, nei rapporti con la Corte” e specificato che il giudizio di parifica non corrisponde a una pagella politica, “la Corte non dà un voto: la Corte individua gli eventuali vizi di illegittimità economico-contabile e individua aree di gestione dove incrementare l’efficienza amministrativa”. La relazione sul rendiconto è di circa 800 pagine, in udienza è stata portato una sintesi di 180 pagine. Il disavanzo accertato della Regione, in base alle ultime correzioni determinate dalla Corte dei conti siciliana e dalle Sezioni riunite in composizione speciale, al 2020 risulta di 6,8 miliardi.
Durissimo il commento di Cateno De Luca, leader dell’opposizione a Sala d’Ercole: “Se qualunque sindaco avesse commesso tutti gli illeciti contabili che sono stati contestati dalla Corte dei conti sezione Sicilia alla Regione Siciliana a quest’ora sarebbe stato arrestato e con una contestazione per danno erariale di milioni di euro”. “Il quadro finanziario nel quale la regione siciliana si trova non è precario, è disastroso – commenta l’ex sindaco di Messina -. Ciò è dimostrato anche dalla mancata approvazione del rendiconto del 2020 e 2021. Oggi la Corte dei conti ha confermato le mie perplessità e anche l’arringa del pubblico ministero sostanzialmente non ha fatto altro che ribadire tutte le prese di posizioni che io ho assunto ogni qualvolta ho ribadito all’interno del Parlamento siciliano che i bilanci della regione sono falsi. In questi ultimi 10 anni sostanzialmente il Parlamento siciliano ha continuato ad approvare bilanci in violazione di legge, ma la cosa più grave è che il governo Musumeci per continuare a far fronte alle spese pazze della Regione ha pure cambiato unilateralmente le regole riguardanti il patto tra lo Stato e la regione per quanto riguarda le annualità per far rientrare la regione siciliana dal suo disavanzo. Vorrei ricordare – afferma De Luca – che i patti si modificano con l’accordo di chi li ha sottoscritti e non unilateralmente come hanno fatto l’assessore Armao e il presidente Musumeci”.
“Prima di annunciare strabilianti interventi da inserire nella prossima manovra regionale – aggiunge il capogruppo parlamentare del Pd, Michele Catanzaro – il presidente Schifani dovrebbe spiegare come intende far fronte ai disastri finanziari causati dalla sua coalizione, dal momento che il governo attuale è in assoluta continuità con quello che era guidato da Musumeci”. Per il collega dei Cinque Stelle, Antonio De Luca, “è andata peggio delle peggiori previsioni. Ora, altro che Finanziaria approvata per tempo, qui si bloccano le spese per centinaia di milioni di euro per investimenti e le assunzioni nei centri per l’impiego e nell’amministrazione regionale. A fare le spese di tutto ciò saranno i siciliani. Schifani, piuttosto che rivendicare la continuità col governo Musumeci, dovrebbe vergognarsene e, soprattutto, provare a cambiare rotta rispetto al passato. Intanto ritiri le variazioni di bilancio e prepari l’esercizio provvisorio”.
Tra le prime reazioni quella di Alfio Mannino, segretario regionale della Cgil: “E’ una sentenza pesante, che si abbatte su una gestione della finanza pubblica e su un’azione politica che è stata inadeguata. Chiediamo che non siano i soggetti più deboli e i lavoratori a pagarne le conseguenze con tagli che ne aggraverebbero la condizione e che il nuovo governo regionale avvii subito il confronto col sindacato innanzitutto sulle riforme strutturali necessarie, cosa che il precedente governo non ha fatto e che ci ha condotto alla situazione attuale”. Mannino sottolinea l’urgenza “dell’avvio del confronto col governo nazionale per giungere a un accordo per maggiori trasferimenti sull’Iva e sulle imposte di ciò che viene prodotto in Sicilia. Servono nuove entrate strutturali – dice – ma anche occorre procedere alle riforme che il governo Musumeci non è stato in grado fare come quelle del trasporto pubblico locale e delle partecipate. Solo così si possono peraltro liberare risorse e destinarle ad investimenti per lo sviluppo”. Mannino aggiunge che “una situazione così difficile impone anche un allerta speciale sul progetto leghista di autonomia differenziata che porrebbe la Sicilia ai margini dell’Italia e dell’Europa. Rispetto a questo progetto il governo siciliano e la politica tutta devono schierarsi all’opposizione senza se e senza ma”.