Il finale inglorioso della storia di resistenza di Ferdinando Croce ai vertici dell’Asp di Trapani, è corroborato dal silenzio (inquietante) del partito che per lui si era speso lo scorso anno, al tempo delle nomine. Fratelli d’Italia ufficialmente non ha preso posizione; l’europarlamentare Razza non ha proferito una parola; figurarsi Luca Sbardella, l’ultimo dei mohicani che Giorgia Meloni ha spedito in Sicilia per cercare di arrestare l’erosione di un partito che ha puntato le proprie fiches sull’arroganza a difesa del potere. Su Croce nulla da segnalare, nemmeno il solito comunicato, di circostanza, dei cacicchi di turno (del gruppo parlamentare ce n’è soltanto uno a rappresentare l’area trapanese: anche lui muto, dal 6 marzo).
Non una parola: né a difesa dell’operato di Croce; né per segnalare uno scandalo che sta nei fatti e nei numeri. Alla fine della fiera, sugli oltre 3 mila campioni refertati in ritardo (di mesi, talvolta) quelli positivi sono 356. Ma nessuno del partito della premier si è indignato. Il silenzio spesso è complice. Non sempre, per carità. Eppure stupisce che il primo partito, quello con il consenso più ampio, si sia limitato a traccheggiare con Schifani e con la Faraoni cercando di smussare gli angoli delle responsabilità – più che palesi – del Direttore generale, nel tentativo di salvargli la pelle. Esprimersi avrebbe significato difendere l’indifendibile: secondo gli ispettori della Regione, infatti, dall’intera vicenda sono emersi “gravi disservizi legati ai ritardi nell’erogazione delle prestazioni di anatomia patologica, suscitando grande clamore mediatico e un crescente allarme sociale, oltre a mettere a repentaglio la salute dei cittadini interessati”.
Ovviamente i patrioti hanno dato il massimo supporto a Croce (ma in gran segreto), specie l’ala musumeciana di FdI, che lo aveva testato negli anni di Razza a piazza Ottavio Ziino. Croce era stato vice capo di gabinetto, ma la sua esperienza – lo segnalava fino all’altro ieri Gianfranco Micciché – non ha mai convinto gli addetti ai lavori. La nomina è arrivata comunque, perché la sanità è militarizzata dai partiti. Ma almeno un sussulto d’orgoglio, di fronte allo stucchevole scenario delle ultime settimane, il buonsenso l’avrebbe preteso. Anche a scoppio ritardato e rischiando una figuraccia. Avrebbe significato l’inizio di un ravvedimento, ma soprattutto avere a cuore la salute dei pazienti oncologici: invece no, beffati e umiliati fino alla fine.
L’arroganza dei più forti ha colpito anche Croce, il quale – forte delle sue doti da comunicatore – ha bruciato sul tempo la Regione, indicando lui per primo i termini della sospensione, e riservandosi di adire le vie legali per tutelare la propria immagine e far emergere la verità. Dopo aver detto “non commento” ha aggiunto che “quando a luglio, per la prima volta, mi sono state rapportate le criticità di refertazione ho adottato tutte le misure a mia disposizione, garantendo nel tempo previsto una refertazione entro 20 giorni al mese di febbraio. Ho anche tempestivamente avvisato l’assessorato regionale della Salute, ricevendo silenzi e nessun aiuto fintantoché la vicenda non ha assunto rilevanza mediatica”. Ha scaricato sugli altri le responsabilità del proprio fallimento, ha continuato a bandire concorsi e affidare incarichi di primariato con il provvedimento di decadenza già avviato (un grave segno di scorrettezza istituzionale). Ma Fratelli d’Italia non ha mai scaricato lui.
Questo silenzio dei padrini ha diverse chiavi di lettura: il primo è di evitare lo scontro con Schifani. In questa fase della legislatura, dopo le numerose investiture di Galvagno per un mandato-bis, sarebbe stato politicamente sconveniente aprire una vertenza, peraltro sul fronte caldo della sanità trapanese, che i cittadini hanno potuto conoscere e valutare attraverso le decine di racconti dei pazienti. La seconda chiave di lettura è legata al calcolo: per Croce, in caso di effettiva decadenza dall’incarico di Direttore generale, potrebbe arrivare un incarico al Ministero della Salute, retto anche questo dai patrioti. Sarebbe una rivincita personale, anche se in posizione un po’ più defilata rispetto alle luci della ribalta che gli ha offerto il palcoscenico dell’Asp di Trapani (100 mila euro spesi in comunicazione nell’ultimo anno).
Anche se Fratelli d’Italia è un partito per molti versi in difficoltà (specie in Sicilia), in politica la riconoscenza è sacra. Altrimenti sfocia in tradimento. E neppure il nuovo commissario isolano, Luca Sbardella, può permettersi di ignorare le richieste provenienti dall’ex area di Diventerà Bellissima, che ha cresciuto questo manager fino a dargli incarichi di rilevanza in assessorato. Lo stesso Sbardella ne ha accennato in un incontro con Schifani, senza mai far emergere la propria posizione: era un neofita della Sicilia e avrebbe rischiato altre scosse. Persino il presidente del Senato, Ignazio La Russa, sarebbe stato informato sulla decisione di sospendere il manager.
In attesa di conoscere le sorti di Croce (c’è speranza molto flebile nel verdetto degli ispettori del Ministero) bisognerà capire la contropartita di questo silenzio: la guida del Dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato, da cui è in uscita Salvatore Iacolino (l’incarico scade a maggio)? O la guida dell’Asp di Palermo, che da oltre due mesi attende di essere riempita? A tempo debito arriveranno le risposte che fin qui sono state sommerse dallo scandalo e dai silenzi, dalla rabbia e dalle impuntature, dai numeri e dalle tragedie dei pazienti che con questo teatrino non c’entravano. E che però, colpevolmente, non sono stati degnati nemmeno dal contentino di due righe in segno di solidarietà.