Il professor Paolo Crepet non appare così ottimista sul buon esito della crisi. Il sociologo, intervistato dall’Huffington Post, ha molti dubbi sulla tenuta degli italiani, che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte continua a elogiare per la tenuta e la responsabilità dimostrata in questi giorni di quarantena: “Capisco che un primo ministro debba fare propaganda – esordisce Crepet -. Ma sarei più cauto nel definire gli italiani un popolo grandioso solo perché ci mettiamo sul balcone a cantare l’Inno di Mameli. Tutto questo è avvenuto dopo i primi tre giorni di quarantena. Ecco, voglio vedere fra quindici giorni. Noi costretti dalle leggi per ora siamo abbastanza buonini in casa, cerchiamo di essere disciplinati, ma eroici non direi”.
Il comportamento potrebbe subire una mutazione. “Dopo diventerà più difficile pensare al futuro. Un conto è chiudere la propria azienda, bottega, per tre o quattro giorni, un altro sarà quando si comincerà a capire che non sono tre, quattro, o cinque, ma quindici, venti, trenta. Ecco, a quel punto inizia una fase depressiva. Mi occupai di disoccupazione tanti anni fa. La prima fase quando ti comunicano che sei in cassa integrazione è una fase euforica, nel senso che dici “vabbé tutto sommato sto a casa, mi faccio le cose che non ho mai avuto di fare”. Poi subentra la seconda fase depressiva, in cui si abbassa l’autostima individuale e collettiva. Occorre ricordare che fu proprio in corrispondenza con la più grande crisi economica mondiale, quella del 1929, che si contò il più alto tasso di suicidi del Novecento”.
Crepet è scettico sul fatto che questo appuntamento con la storia, il Covid-19, possa accrescere il senso civico degli italiani: “Che gli italiani abbiano un senso civico mi viene da ridere. Noi siamo quelli che parcheggiano l’auto in tripla fila, in quarta fila, che ci piazziamo nel perimetro riservato agli handicappati. Oggi vedo un senso retorico nelle esternazioni collettive: ho visto un sacco di tricolori. Tutto ciò mi fa pensare”. “Di certo siamo aiutati dal fatto che a differenza dei tempi della peste veneziana oggi c’è internet – spiega ancora Crepet – All’epoca c’era un passaparola di morte, adesso invece sappiamo tutto. Siamo informati, e questa cosa in qualche modo ti aiuta a sapere, ma ti fa salire anche l’angoscia perché non sai quando finirà tutto. E’ questo il problema. La gente non ha solo il terrore di prendersi la malattia. La paura inconscia nasce dal fatto di avere perso la libertà”.