“Sono convinto che l’ordinanza senza le misure di vigilanza e senza le necessarie sanzioni rischia di essere inutile. Ecco perché rivolgo ancora una volta un appello ai prefetti e ai sindaci perché le forze dell’ordine e la polizia municipale possano essere mobilitate per questo tipo di attività”. Parola d’ordine: controlli. Dopo aver incolpato i siciliani di comportamenti incoscienti e irrispettosi, il presidente della Regione, Nello Musumeci, lancia un avvertimento a sindaci e prefetti: senza i dovuti controlli, non usciremo mai da questo incubo.
La teoria dello scaricabarile in Sicilia attecchisce, eccome. Ieri l’ennesima giornata campale, in cui il governatore, dopo aver ottenuto la “zona rossa” (nonostante un indice Rt da “arancione”), ha deciso di stringere ulteriormente la cinghia, vietando le visite ai parenti (cosa, invece, permessa dal Dpcm). E allo stesso tempo garantendo l’asporto per i bar fino alle 22. Fra le tante incoerenze dei “decisori”, segnatamente a questi ultimi giorni in cui i contagi sono aumentati a dismisura, il capitolo scuole: chiuse per tutta la settimana, con la Sicilia in arancione; aperte dalla prossima (fino alla prima media) con la Sicilia in rosso. Una tesi bislacca che divide anche i genitori, molti dei quali hanno già deciso di tenere i propri figli a casa.
Sarà pure vero che i siciliani si assembrano, che abbiano organizzato i cenoni clandestini, che si rechino numerosi a fare i tamponi rapidi per alleggerirsi la coscienza. Ma è compito della politica dirigere il traffico (la scelta di non ridurre la capienza dei mezzi pubblici in estate grida vendetta), garantire scienza e coerenza nelle decisioni, programmare i ristori. Anche su quest’ultimo punto la Regione siciliana non può dirsi al passo coi tempi. L’ultima Finanziaria di cartone è ancora (in parte) bloccata, e molte delle misure previste lo scorso maggio in funzione anti-pandemia non sono mai entrate a regime. Nessuno ha mai chiesto scusa di questo: anzi, si è giustificato il tutto coi tempi delle procedure, che pure l’Unione Europea aveva deciso di rendere più snelle sospendendo il Patto di Stabilità. Lo scivolamento in “zona rossa” diventa l’ennesimo pretesto per richiedere una mano allo Stato.
Le chiusure lasciano col fiato corto le imprese. Nel settore del commercio 6.400 hanno chiuso i battenti dall’inizio della pandemia. Il conto rischia di diventare più salato a fine anno: “Il governo regionale chiede a Roma le misure di chiusura più estreme e fa una sua ordinanza – commenta Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo – Ma lo stesso governo regionale non ha ancora rimborsato le imprese. Di tutte le risorse già previste nella finanziaria di aprile a parte il bonus da 2.300 euro le imprese costrette a chiudere per una gestione non efficace della contrasto alla pandemia, non hanno ancora visto nulla. Chiede, ordina, dispone. Ma lascia le imprese senza risorse”. Questa “zona rossa” non soddisfa nessuno, perché, spiega la Di Dio, “chiude ad esempio il settore dei pubblici esercizi e della ristorazione (ma nelle fabbriche a mensa siedono insieme migliaia di persone!) e chiude il commercio di vicinato, i piccoli negozi sotto casa di abbigliamento e calzature, ma lascia aperti al pubblico la maggior parte degli esercizi commerciali. Non solo la “zona rossa” è fortemente penalizzante, ma genera anche una profonda iniquità tra le attività commerciali. Occorrono correttivi alle incongruenze per evitare di aggravare la situazione già insostenibile. E sono indispensabili e sacrosanti gli aiuti. Aiuti adeguati alle perdite imposte”.
Anche la sanità è un altro capitolo controverso. Uno dei dati peggiori dell’ultima rilevazione dell’Istituto superiore di sanità è il tracciamento. Da mesi, ormai, è impossibile per le Usca (unità specialistiche di continuità assistenziale) risalire alla catena dei contagi. Forse a causa di un personale carente o di mezzi poco adeguati. Ma nessuno fa “mea culpa”. Idem sui vaccini, dove non si è ancora risolta la confusione sulle categorie ammesse alla prima fase della campagna; e sui tamponi, dato che quelli di massa sono iniziati troppo tardi. Insomma, a voler ripercorrere a ritroso questi mesi disperati, nessuno è davvero immune da colpe. L’alibi del cenone, però, è quello che fa più presa.