La Sicilia rischia un’altra emergenza idrica, con dighe vuote, condotte colabrodo e scelte politiche inefficaci. Miliardi di euro sono stati spesi negli anni, ma la gestione dell’acqua resta disastrosa: dispersioni record (56,1%), reti fognarie inadeguate e invasi incapaci di garantire un approvvigionamento stabile. È il quadro descritto da Gian Antonio Stella in un’inchiesta pubblicata sul Corriere della Sera, e ripresa da Dagospia, che ripercorre le cause e i fallimenti di una crisi cronica.

Un caso emblematico è la Diga della Trinità, celebrata nel 1962 come un miracolo per l’agricoltura ma mai collaudata. Per timore di un cedimento, l’invaso è stato svuotato per decenni, rendendolo di fatto inutile. Fino a una ventina di giorni fa, quando il Ministero delle Infrastrutture, dopo aver sollevato problemi di sicurezza (con conseguente riduzione dei volumi idrici), ha rassicurato la Regione sul suo utilizzo. Anche altri bacini siciliani sono ai minimi: Rosamarina (14,1%), Scanzano (30%), Poma (25%), costringendo a razionamenti drastici (a Caccamo l’acqua arriva ogni otto giorni).

Oltre agli invasi vuoti, il sistema è segnato da impianti dismessi e sprechi. Negli anni sono state costruite 47 dighe (solo 20 collaudate), di cui 17 già abbandonate. Emblematico il caso della diga di Blufi, mai completata e oggi un rudere dopo aver divorato centinaia di miliardi di lire. A conferma dello sperpero di risorse, Tuccio D’Urso, funzionario regionale che nel 1991 mappò gli interventi nel settore idrico, ha contato oltre 7.000 miliardi di lire spesi, equivalenti ad almeno 8 miliardi di euro, cifra che l’inflazione attualizzerebbe a una somma ancora più imponente. Eppure, i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Il problema non è solo infrastrutturale, ma anche amministrativo. La Sicilia ha fallito l’accesso ai fondi del PNRR: tutti i 31 progetti presentati sono stati bocciati per la debolezza delle proposte e la scarsa qualità della burocrazia regionale.

Le soluzioni proposte suscitano perplessità. Il presidente della Regione, Renato Schifani, ha annunciato un investimento di 290 milioni per cinque nuovi dissalatori, nonostante i fallimenti passati. Un esempio è il dissalatore di Gela, che, pur essendo in disuso, costa ancora alla Regione 10,5 milioni di euro l’anno. Il risultato è un territorio assetato, mentre sprechi e clientelismo continuano a dominare la scena.