Non funziona quasi nulla: anzi, l’impalcatura su cui si regge la Regione siciliana – sanità, trasporti, rifiuti – rischia di crollare. Il weekend è stato contrassegnato da un’anomalia, meglio definirla ‘emergenza’, che ha costretto l’Ast a una serie di tagli immani per garantire il trasporto di alcune migliaia di migranti provenienti da Lampedusa. Gli autobus vetusti e sgangherati della società controllata dalla Regione, almeno, sono serviti a qualcosa, dato che da alcuni mesi non riescono più a garantire il diritto alla mobilità di residenti e turisti. Il trasporto su gomma, ove possibile è messo peggio di quello aereo e su rotaia, solo che è la Regione a sborsare i soldi e quindi a rimetterci.

Ast versa in condizioni disastrose da un punto di vista finanziario – tanto da indurre l’assessore Aricò ad aprire un bando per l’assegnazione ai privati delle corse extraurbane – e gli interventi promessi non sono mai stati realizzati, come segnala la deputata del M5s, Stefania Campo: “Viene da chiedersi che fine abbiano fatto i 45 milioni di fondi PON che avevamo appostato in bilancio per consentire all’Ast di comprare nuovi mezzi. E’ questo il vero nodo, la compagnia a causa dei forti debiti in questi anni non si è dotata di mezzi nuovi e sufficienti a coprire il servizio, questo di fatto mette il viaggiatore costantemente a rischio, soggetto a una valanga di disagi e disservizi”. Già, perché “non passa giorno che l’Ast non lasci a piedi i propri viaggiatori. Dagli autobus che si guastano, alle corse cancellate senza preavviso, ritardi di ore in fermate sprovviste di una qualsiasi panchina compresa la principale fermata dell’isola cioè quella di Palermo. Un viaggio con un pullman dell’Ast è un’odissea con disservizi macroscopici”.

Per coprire le clamorose magagne del servizio, Aricò s’è inventato il trasporto di migranti: trenta pullman che da Porto Empedocle trasferissero i profughi verso i paesi del Nord Italia (non osiamo immaginare le condizioni di viaggio): “Siamo consapevoli dei disagi che questo provvedimento potrà causare su alcune tratte del trasporto extraurbano – aveva detto Aricò – ma chiediamo ai siciliani di avere comprensione perché l’Isola si trova al momento in un grave stato di emergenza”. Di comprensione non ne ha avuta il segretario del Pd, Anthony Barbagallo: “E’ inaccettabile utilizzare l’emergenza migranti per sostenere l’ingiustificabile. L’Ast, controllata dalla Regione, cancella corse quotidianamente lasciando a piedi studenti, lavoratori e pendolari. E’ la stessa azienda che in piena estate, con l’aeroporto di Fontanarossa chiuso dopo l’incendio. ha cancellato in un mese 2500 corse. Trovo anche indelicato, perché superfluo, sottolineare l’aspetto umano e giuridico di un’azione del genere. Ma che evidenzia la mancata programmazione e il mancato controllo su Ast che ha un parco mezzi inadeguato per i servizi extraurbani e di certo non è possibile accorgersene solo in caso di un doveroso intervento umanitario e emergenziale”.

Il 9 agosto Aricò ha spiegato di voler trasformare l’Ast, fin qui sotto il totale controllo della Regione, in un’azienda in house providing: si ritiene, ha spiegato l’assessore che “rappresenti la migliore soluzione possibile per assicurare la continuità dell’attività aziendale di Ast e per continuare ad assicurare i servizi al territorio”.  L’obiettivo sbandierato è “inserire o scorporare le tratte di trasporto extraubano in capo ad Ast” nel bando di prossima pubblicazione. Cioè aprendo ai privati.

Un altro carrozzone falcidiato dai ritardi – nei pagamenti a favore delle imprese che lavorano – è il Cas, il Consorzio Autostrade Siciliane. Per mesi ha indotto la Cosedil, che sta procedendo al completamento del lotto Ispica-Modica lungo la Siracusa-Gela, a fermare i cantieri. Alla vigilia dell’ultimatum fissato per il 7 settembre scorso, però, si è proceduto a liquidare lo stato di avanzamento dei lavori dello scorso marzo-aprile, così sono ripresi i collaudi. A fatica. L’apertura del tratto autostradale sarebbe dovuta avvenire la scorsa primavera, poi tutto è slittato in estate, forse se ne parlerà a fine anno (intanto i politici si sono presi i peggiori insulti per aver annunciato e poi ritrattato sull’inaugurazione). Considerando la Palermo-Messina e la Catania-Messina, altre arterie di competenza del Consorzio, si sono accumulati 34 milioni di debiti.

Ma voltiamo pagina. La sanità. Nei giorni scorsi l’assessore Volo e il direttore della Pianificazione strategica, Salvatore Iacolino, hanno radunato a Palermo i commissari delle Asp e delle Aziende ospedaliere per fare il punto sullo smaltimento delle liste d’attesa. La Regione ha messo a disposizione 48 milioni, di cui la metà destinate alle strutture private convenzionate, per accelerare l’erogazione delle prestazioni: dai ricoveri alle visite specialistiche. Fin qui la teoria. Perché la pratica è disarmante. In attese di ripulire le liste dai “doppioni” – a luglio si stimavano 39.500 ricoveri e 241 mila prestazioni ambulatoriali da smaltire per il triennio 2020-2022, nell’ultimo monitoraggio dell’8 settembre sono scesi rispettivamente a 32.355 e 81.632 – sta venendo fuori un quadro a tinte fosche. Secondo Repubblica, che ha avuto modo di consultare le carte, “ci sono bambini che attendono da più di due anni la chiamata dell’ospedale Di Cristina di Palermo per un semplice intervento di fimosi o ernia del disco, adulti in attesa al Civico dal 2020 per l’asportazione di un tumore benigno alla prostata, pazienti che da tre anni devono eseguire un’operazione alle tonsille a Villa Sofia-Cervello o un intervento alla colonna vertebrale al policlinico Giaccone”. Il report va continuamente aggiornato con dati che lasciano di stucco: servono sei mesi per una visita senologica a Catania, nove per un controllo endocrinologico a Palermo, 170 giorni per una Tac all’addome a Messina.

Questi numeri e queste attese cancellano il resto. Cancellano le domande ataviche – perché non si avviata prima la “bonifica” delle liste? – e cancellano le intenzioni future. Cioè garantire l’erogazione degli arretrati. Un passo necessario che la sanità pubblica non potrà compiere da sola. Non alle attuali condizioni, dove gli ospedali di ‘periferia’ faticano a reclutare dirigenti medici e, sempre più spesso, servono autentiche imprese – il ricorso a prestazioni aggiuntive, a medici in quiescenza, a stranieri, a convenzioni coi privati – per garantire la copertura di alcuni servizi che altrimenti potrebbero chiudere. Il gap, inoltre, è legato alla strumentazione. “A soffrire sono anche i pazienti oncologici – segnala Repubblica -. Oggi, a Palermo, è quasi impossibile prenotare una Pet per diagnosticare la presenza di cellule tumorali. Sia quella del Policlinico sia quella di Villa Sofia sono guaste”. Mentre il deputato su Sud chiama Nord, Ismaele La Vardera, qualche giorno fa ha segnalato che una risonanza magnetica acquistata dall’Asp di Palermo nel 2020 è tuttora rinchiusa in uno scantinato.

In questa impalcatura (generale) che continua a scricchiolare, non vanno dimenticati i rifiuti. Se ne parla meno perché quelli in eccesso, a bordo dei compattatori, vengono trasferiti nel resto d’Italia o all’estero (con costi esorbitanti per i Comuni e, a cascata, per i cittadini). Le discariche siciliane sono sature, alcune hanno chiuso i battenti e la politica non le ha mai rimpiazzate. Ha fatto solo vaghi discorsi sui termovalorizzatori, ma dal 2021 – quando Musumeci ne annunciò addirittura due – non è successo niente. La SI Energy srl aveva avviato nel 2020 tutte le pratiche per ottenere le autorizzazioni ambientali richieste. Come ricostruisce Live Sicilia, il progetto è fermo al 14 luglio 2022 quando la conferenza dei servizi ha rinviato tutto all’arrivo del parere della Cts, la Commissione tecnico specialistica oggi diretta da Gaetano Armao. Il termovalorizzatore dovrebbe nascere su un’area di 67 mila metri quadrati, a Catania, ed essere in grado di trattare 550 mila tonnellate di rifiuti l’anno. Nel 2021 la CTS della Regione aveva rilasciato un parere intermedio pieno di criticità a cui aveva fatto seguito, nel 2022, quello della Città metropolitana di Catania. I tecnici della ex provincia avevano parlato di “ricadute ambientali cumulate”.

E’ stato appurato il rischio, inoltre, che per consentire la sopravvivenza del termovalorizzatore non bastasse la quantità di monnezza prodotta dall’ambito di riferimento, e che ne servisse dell’altra. Dove prenderla? Un interrogativo che è il sintomo di una confusione mai risolta, e che persino il neo assessore all’Energia aveva evidenziato: “Bisogna stabilire praticamente come dobbiamo individuare i flussi del conferimento – aveva spiegato Di Mauro all’Ars – quindi stabilire la percentuale e quello che serve nel territorio siciliano. Da lì scaturiscono non solo i numeri dei termovalorizzatori, ma anche le quantità di prodotto che devono assorbire i termovalorizzatori”. Si tratta, secondo quando ha prospettato l’assessore, di “cominciare a comprendere con esattezza il fenomeno dei rifiuti in Sicilia. C’è un altro fatto –-aggiungeva l’assessore – abbastanza strano: aumenta la differenziata, ma in realtà l’indifferenziata praticamente resta la stessa”. Nel frattempo, forse ignaro di tutte le criticità prospettate (fra cui la necessità di un nuovo “piano rifiuti”), Schifani è andato avanti e ha partecipato a vertici. Nell’ultimo, con il ministro Pichetto Fratin, avrebbe ottenuto le necessarie rassicurazioni: “Ci darà i poteri commissariali che permetteranno di costruire in Sicilia due termovalorizzatori. I rifiuti diventeranno una risorsa e produrranno energia”. Ma era tutto così facile? Evviva.