A far saltare il banco della scuola sono stati due giorni di vacanza in più: che la Regione non ha voluto concedere, mentre i Comuni sì. Ma sul ritorno in classe, in presenza s’intende, è andato in scena il papocchio peggiore di questa pandemia. Inutile, per certi versi. Ma che – proprio perché inutile – conferma lo scadimento delle istituzioni a tutti i livelli. Il punto fermo è la conferenza stampa di Mario Draghi di lunedì scorso, in cui il premier, attanagliato dalle domande sul Quirinale, si rifugia nel tema più sentito: “Il governo ha la priorità che la scuola sia aperta in presenza. La Dad procura diseguaglianze destinate a restare e che si riflettono sul futuro della vita”.
Frasi forti che costringono l’assessore regionale all’Istruzione, Roberto Lagalla, a un repentino ripensamento. Poche ore prima, infatti, l’esponente del governo Musumeci aveva annunciato la possibilità di aggiungere altri giorni di vacanza (un paio) a quelli già concessi con l’ultimo provvedimento cautelativo (da lunedì a mercoledì) anche se – formalmente – sarebbe stato vincolante il parere della task force regionale, che è tornata a riunirsi proprio ieri. Un incontro di oltre tre ore senza sussulti. Nessuno di questi sedicenti esperti, infatti, avrebbe potuto cambiare le carte in tavola, smentendo Draghi o il comitato tecnico-scientifico, relativamente a Omicron e al rischio infezione. Così, poco dopo le 17, la Regione emette un comunicato in cui conferma, con tre giorni di ritardo sul resto d’Italia, e con una capacità decisionale al limite dell’imbarazzo, la ripresa delle lezioni.
Qualcuno, però, non è convinto. Così duecento sindaci siciliani, ispirati dal capofila Leoluca Orlando, si riuniscono fino a tardi e decidono di mettere a repentaglio la vita delle famiglie, che disperatamente cercano conferme in chat e sui social. Sono le 20.25 quando l’ordinanza del professore viene firmata. A meno di dodici ore dal suono della campanella, padri e madri palermitani, apprendono che i ragazzi non torneranno a scuola. Il sinnaco, dopo non aver fatto nulla per mettere le scuole in sicurezza, ha partorito un provvedimento lungo sei pagine, pieno di burocratese e riferimenti normativi (l’architrave è l’articolo 50 del Testo unico degli enti locali), in cui si elencano una serie di luoghi comuni della pandemia, figli del sentito dire, che nessuno degli uffici ha avuto modo di constatare direttamente.
Ad esempio, che “l’elevata quantità di positivi tra gli alunni, unita al fatto che la variante “Omicron” sia poco sintomatica, potrebbe portare a fare rientrare all’interno delle classi soggetti potenzialmente positivi”; o, ancora, “che la imminente ripresa delle attività scolastiche in presenza costituisce una evidente causa di aumento del contagio”. Evidente de che, che non è ancora rientrato nessuno? Orlando, però, le spaccia come verità inoppugnabili e ordina: ‘tutti in vacanza’. Molti sindaci, con qualche eccezione (Cassì a Ragusa) lo seguono come pecore al pascolo. Col rischio – serio e contemplato – che il provvedimento venga impugnato dal tribunale amministrativo, dato che si pone in contrasto con la norma nazionale, di rango superiore.
La politica entra a gamba tesa sulla vita reale, e persino sulla scienza; per lisciare il pelo a molti addetti ai lavori – non tutti – che avevano chiesto rassicurazioni; per non far imbizzarrire i presidi; per non far scoppiare i genitori ipocondriaci; “per la tutela della salute pubblica e dell’intera comunità scolastica”, dichiara Orlando nel suo comunicato di fine giornata. Detta così, avrebbe anche senso. Ma con quali rilevanze scientifiche? Sostenendo quali tesi, se non quella dell’approssimazione populista e popolare? E soprattutto, qualcuno ha chiesto come si sentono i ragazzi, unici martiri di una guerra senza quartiere? Che delusione.