Schifani ha detto di non rinnegare la continuità. L’ha rimarcato a caratteri cubitali. Ma qualcuno gli avrà fatto già notare – altrimenti lo facciamo noi – che fra i primi atti del suo governo c’è il tentativo, strenuo e un po’ sognante, di evitare l’esercizio provvisorio. Sarebbe il sesto di fila, considerata la stagione di Musumeci & Armao. Non riproporlo, anche se pare difficile considerata la ristrettezza dei tempi e la dilazione dell’iter parlamentare, porrebbe un grande elemento di discontinuità. Tra i più apprezzati dai siciliani. Schifani ha chiesto pure riforme coraggiose: ha citato la semplificazione amministrativa, la burocrazia (con l’abolizione della terza fascia dirigenziale?). Cose che Musumeci ha solo enunciato, salvo spedirle in un cassetto. Privo di maggioranza e di autorevolezza.
Se Schifani decidesse di battere su questi tasti, altro che continuità. Sarebbe la rivoluzione. Anche se il suo pragmatismo, per primo, gli impone di volare basso. Eppure fra i numerosi stralci delle dichiarazioni programmatiche di giovedì, a Sala d’Ercole, emergono altri spunti che lo pongono in “conflitto” coi suoi predecessori (che il presidente, a parole, fa di tutto per evitare). Ad esempio su una questione di principio: il rispetto del parlamento. Musumeci, dopo che i franchi tiratori affossarono l’articolo 1 della riforma dei rifiuti, minacciò di non tornarci più all’Ars: prima andava abrogato il voto segreto. In aula, per altro, non sono mai mancate le sceneggiate, alcune intrise di volgarità: come quella volta che l’ex governatore diede addosso a Luca Sammartino (ieri renziano, oggi vice di Schifani), auspicando che se ne occupassero “altri palazzi” solo per aver fatto votare un emendamento al buio. E poi, a Palazzo dei Normanni, Musumeci non s’è visto quasi mai. Schifani è la sua nemesi: “Ho sempre creduto nella democrazia parlamentare, e anche se eletto direttamente dai cittadini, sono un convinto sostenitore della sovranità ed autorevolezza del Parlamento”.
Perché, quindi, rivangare questa benedetta continuità? Cos’è che Schifani ha così tanto apprezzato del suo predecessore? Certamente alcuni assessori: Alessandro Aricò, Marco Falcone e Mimmo Turano hanno solo cambiato delega, anche se il governatore s’è assunto la responsabilità di averli scelti (e confermati). Poi ci sarebbe la moglie di Razza, che gli è stata imposta da Roma. Ecco, la sanità: potrebbe essere un “campo di battaglia” condiviso con la vecchia governance. Per esempio, fin dalla campagna elettorale, Schifani ha rafforzato il concetto di una “integrazione necessaria” fra pubblico e privato. Ribadendo, fino a ieri, che “la nuova sanità dovrà guardare senza riserve al privato convenzionato, sia ospedaliero che diagnostico, nella consapevolezza che l’assistenza sanitaria costituisce una pubblica funzione, al di là del soggetto che la eroga, sia pubblico che privato. Occorre quindi abbattere ogni forma di pregiudizio, sapendo coniugare una leale sinergia tra due mondi che stanno dalla stessa parte: la salute del cittadino”.
Pensiero che, volendo, non fa una grinza. Anche se praticare la “continuità amministrativa” non deve indurre nei vizi dei suoi predecessori. Che, ad esempio, non hanno mai chiarito la cifra dei rapporti fra Diventerà Bellissima, un movimento ormai vetusto, e l’Oasi di Troina, che fu “occupata” da militanti e sostenitori ghiotti di incarichi e consulenze, finché il Vaticano non decise di revocare il direttore generale e far crollare tutto; né la predilezione per il Cefpas, il centro d’eccellenza per l’alta formazione che sforna i manager del domani (cioè quelli che andranno a occupare le poltrone di Asp e ospedali), e che è stato destinatario di innumerevoli rifornimenti (per la digitalizzazione, per i corsi, per la pandemia). “Continuità” non può voler dire una collaborazione sempre più solida coi privati, e nel frattempo svilire il ruolo e le mansioni di specialisti e laboratori d’analisi convenzionati, che ancora attendono i pagamenti delle Aziende sanitarie per le prestazioni in extrabudget (degli anni 2020 e 2021). Questo genere di continuità, ca va san dire, risulterebbe deleteria.
Poi ci sono gli altri capitoli su cui, forse, non converrebbe accanirsi. In primis il bilancio. Sia Schifani che Falcone, in aula, hanno confermato la necessità di un’operazione verità sui conti della Regione. Ciò avvalora la tesi – della Corte dei Conti, di De Luca, ma anche di Buttanissima – di chi sostiene che i Bilanci, in questi anni, siano stati approcciati in maniera nebulosa. Bluffando. Adottando soluzioni, come nel caso della spalmatura del disavanzo in dieci anni (che secondo Schifani, però, rimane legittima), che hanno portato a ciò che vediamo: nel caso di specie, a una vigilia tipo ‘morti viventi’, in attesa del giudizio di parifica dei magistrati contabili che potrebbero far emergere un nuovo, pesantissimo ‘buco’. Momenti di normalità trasformati in ‘tragedia’ perché non v’è alcuna certezza della consistenza economica di questa Regione. Che oggi non riesce a pagare i creditori, e non riesce a sfornare una manovra nei tempi utili e con coperture certe.
Inoltre c’è un’altra materia, il Turismo (con spettacoli annessi), che richiederebbe una profonda revisione. Procedere nella continuità, anche stavolta, significherebbe ripiombare negli usi e i costumi della gestione precedente. Negli sperperi che hanno arricchito le potenti lobby del Nord, le grandi tivù, le solite agenzie pubblicitarie. Da Cannes – dove una mostra fotografica è costata oltre due milioni – in giù, sarebbe un’esperienza da non ripetere. O meglio: da cancellare. Eppure tra i primi atti del nuovo governo, ricalcando il precedente, c’è il finanziamento (per 10,8 milioni) di una serie di produzioni cinematografiche locali; e il ritorno della campagna ‘SeeSicily’, una reminiscenza del Balilla, per continuare a sponsorizzare le bellezze siciliane prevedendo tre linee d’intervento: le iniziative sulle emittenti televisive nazionali (e la partnership con alcuni programmi come ‘Ballando con le Stelle’); i cartelloni nelle stazioni ferroviarie italiane; e i cartelloni all’estero, tra metrò e aeroporti. Costo totale dell’operazione: 7 milioni. Questa è continuità. Nuda e cruda.
Per il resto delle promesse bisognerà attendere. Ma professare continuità rispetto a un governo fallimentare, guidato da un cerchio magico sin troppo audace, il cui capo è stato scaricato dalla coalizione per non averci saputo fare, è un esordio quanto meno bizzarro. E se fossero solo parole? Magari… Non serviranno, comunque, a rivalutare il loro operato.