Per tutta la giornata di ieri l’Italia sembrava il baricentro della crisi libica. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, però, è caduto nell’ennesima gaffe diplomatica: ossia la convocazione, a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, del premier libico Fayez Serraj e del suo “nemico” giurato, il leader della Cirenaica Khalifa Haftar. Prima Haftar, poi Serraj. Che appreso dell’ordine dei lavori, ha deciso di dare buca (si era sparsa la voce di un suo rapimento, ma poi sono fioccate le smentite). A Roma, quindi, si è presentato soltanto il generale che ha avuto un lungo colloquio (di quasi tre ore) col presidente del Consiglio. Conte ha espresso forte preoccupazione per l’escalation militare portata avanti da Haftar dallo scorso aprile e ha invitato il militare, regista dell’offensiva su Sirte e Tripoli, a rinunciare. Troppo tardi, però per servire l’assist a Serraj, che non aveva apprezzato la proposta dell’Italia di fare da mediatore con Haftar, in un conflitto che vede il coinvolgimento di Turchia e Russia (i due presidenti, Erdogan e Putin, tentano di spartirsi il Paese in aree di influenza). La diplomazia del nostro Paese, nel frattempo, deve fare i conti con gli svarioni del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Secondo quanto raccontato da Repubblica, la sua presenza al vertice egiziano con i paesi avversari del governo libico (dello scorso dicembre), avrebbe irritato ulteriormente Serraj, tanto da portarlo a cancellare l’appuntamento di ieri. Eppure lo stesso Di Maio si era rifiutato di firmare la, dichiarazione congiunta che era stata ritenuta troppo dura nei confronti della Turchia e del governo Serraj. Magari per salvare le apparenze. Ma fin qui non è bastato. Il fronte resta caldo e l’Italia non sembra avere le carte in regola, né l’autorevolezza, per sbrogliare questa enorme matassa.