Musumeci non ha più una maggioranza. La Sicilia non ha più un governo. E’ bastato “esporre” l’assessore Armao a un dibattito d’aula sulla situazione finanziaria della Regione, per far crollare l’asse tra Diventerà Bellissima e Forza Italia, attorno a cui per un paio d’anni sono ruotate le (poche) fortune del “governicchio”. Non è solo colpa dei vitalizi, ultimo baluardo di demagogia. La progressiva distanza fra palazzo d’Orleans, sede del governo, e palazzo dei Normanni, dove si tiene l’assemblea regionale, è un muro eretto da Silvio Berlusconi. Proprio lui. E’ stato il “vecchio” Cav. a volere, nel 2017, Gaetano Armao nel ruolo di vice-governatore, condannando la Sicilia al pantano. Non che potesse prevederlo fino in fondo, Berlusconi. Ma l’avvocato palermitano, già visto all’opera con Lombardo (non era parso un granché), ha deteriorato i rapporti tra Musumeci e Micciché. E ha fatto venir meno la fiducia dell’uno per l’altro, e viceversa.
Da un lato c’è Forza Italia, che da Armao non si sente più rappresentata e ne chiede la destituzione. Specie dopo il celebre voltafaccia delle Europee, quando il vice-presidente della Regione decise di sostenere il sardo Cicu anziché il candidato di bandiera Milazzo. Ma anche a seguito del pasticcio sui conti, e delle mancate comunicazioni all’Assemblea su quanto grave fosse questa crisi. Miccichè prima dell’estate alzò il tiro, ma preferì desistere per non dare un dispiacere a Silvio, dato che era stato lui a sceglierlo. Dall’altro c’è Musumeci, che del “mago del bilancio” si fida nonostante i guai degli ultimi mesi e le decine di impugnative su Legge di Stabilità e “collegati”. Lo ha mandato più volte in avanscoperta a trattare per conto della Regione e gli costruirebbe ponti d’oro: “Se non avesse la mia fiducia, non durerebbe un minuto di più” ha ribadito all’Ars, in casa del “nemico”. Dove ha fatto capire che la scelta di tenerlo è condivisa da Berlusconi (i due sono reduci dalla passerella di piazza San Giovanni, dove Miccichè invece non s’è visto).
Il Cavaliere, come è solito fare negli ultimi tempi, decide di non decidere. Evitando, così, di rompere il giocattolo. Ma è al riparo da questo silenzio che Armao trova la sua forza e la coalizione di centrodestra, probabilmente, le sue sventure. Dopo i dissapori con la Meloni, il clima non sempre mite coi centristi e il dialogo impossibile con Pd e Cinque Stelle – presi ripetutamente a pesci in faccia – ecco che anche il fil rouge con Forza Italia rischia di spezzarsi. A conti fatti Musumeci conta su una decina di parlamentari “sicuri” (6 del gruppo di Diventerà Bellissima e 4 di Ora Sicilia,) e su pochi altri fedelissimi. Tra cui gli assessori dei Popolari e Autonomisti, Lagalla e Cordaro, e Mimmo Turano dell’Udc. Che fanno da traino a una dozzina di parlamentari di cui fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Poi ci sono i quattro di Fratelli d’Italia che già in passato hanno balbettato. E gli undici di Forza Italia che fin qui, assicura un deputato, “sono sempre stati fedeli, dentro e fuori dal palazzo, al governo Musumeci”, ma che a furia di “calci degli stinchi”, o di “mortificazioni” come quella dell’altra sera all’Ars, potrebbero stancarsi.
Senza i forzisti si scenderebbe da 37 deputati a 26. Con le assenze, da mettere sempre in conto, e i mal di pancia stagionali, Musumeci arriverebbe a poco più di una ventina (M5s e Pd, insieme, ne contano 30). Un numero che non consente di approvare e tanto meno di proporre leggi. Ecco che, a parte il diritto allo studio o la pesca, il governo si è guardato bene dal farlo. La riforma sui rifiuti, approvata in commissione a novembre dell’anno scorso, è ferma al palo e prevede aggiustamenti. Secondo voi, perché? Ecco che ritorna la metafora del pantano. Anziché offrire soluzione per la Sicilia ci si rifugia nel blocco della spesa – che vale per tutti tranne che per i cavalli di Ambelia e i borghi rurali del fascismo – e in discorsi da bar sport come il taglio dei vitalizi.
E’ bastata questa parola – “vitalizio” – a incrinare ulteriormente i rapporti fra Musumeci e Miccichè, fra il governo e il primo partito di maggioranza relativa. Tra qualche giorno, magari, getteranno acqua sul fuoco, o fingeranno che tutto questo non esista. Diranno che si trattava di semplici speculazioni. Ma il passaggio di mercoledì all’Ars pesa come un macigno. E non c’entra la simpatia di Musumeci, il suo lessico evangelico, le sue doti da guerriero. C’entra la fiducia. Raccontano che Miccichè si sarebbe risentito non poco dopo che l’altro giorno, durante i lavori della commissione speciale, il capogruppo di Diventerà Bellissima, Alessandro Aricò, ha tirato fuori un disegno di legge alternativo a quello di Pd e Forza Italia, piuttosto che convergere sullo schema di Cracolici: taglio al 9% per tre anni, col mantenimento delle pensioni di reversibilità.
E invece no. Diventerà Bellissima ha voluto distinguersi e ha chiesto di recepire la norma nazionale, che ridurrebbe alcuni assegni del 60%. Una consistente spolverata di populismo, che il presidente dell’Ars ha stigmatizzato di fronte ad alcuni giornalisti prima del dibattito in aula sui conti: “Visto che vogliamo fare la gara a chi è più demagogico, la mia proposta sarà quella di sopprimere i vitalizi”. Sopprimerli, non dimezzarli. Una frase che ha inaugurato un mercoledì pomeriggio di capricci e di veleni. I toni si sono inaspriti quando nella sua arringa conclusiva contro il parlamento (“il dibattito è diventato occasione per vomitare veleno su questo governo”), Musumeci ha tirato dentro pure Micciché: “Mi ricordo i tempi del Consiglio comunale, quando il presidente richiamava i consiglieri che andavano fuori tema… In questo parlamento, invece, il presidente dell’Ars ha ritenuto tutti gli argomenti pertinenti”. E ancora: “Voglio sperare che questo parlamento possa essere guidato da un presidente che si sforzi oltre ogni limite di saper scindere la sua funzione di garante da quella di coordinatore del partito di maggioranza relativa”. E infine: “Io sono stato scelto dai siciliani e non devo rendere conto ad altri, se non al popolo siciliano. Con la sola differenza che non sono ricattabile”.
“Un ingresso a gamba tesa in una partita amichevole” come l’ha definito un miccicheiano doc per voler inseguire una metafora. E non sono passate inosservate agli occhi di Micciché le critiche rivolte da Musumeci all’assemblea, indirizzate a tutte le latitudini e non solo verso i banchi del Pd. “Spero” che qualcuno dei deputati “possa giustificare, davanti allo specchio e ai suoi figli, di aver percepito alla fine del mese 6.600 euro più 2.000 di rimborso per avere fatto il proprio dovere, anche stando all’opposizione” ha tuonato Musumeci. O, ancora, “oggi si è scritta una brutta pagina di questo Parlamento, l’unica consolazione grande è che c’era la tv a riprendere. Voi – ha sottolineato rivolgendosi ai pochi onorevoli rimasti fino a tardi – credete che i siciliani siano meno intelligenti di quello che sono veramente”.
Alla fine Micciché ha replicato (“Se in quest’aula è successo quello che dice lei, forse mi trovavo fuori. E comunque anche io non sono ricattabile”), non prima di aver buttato giù l’ennesimo boccone amaro. La difesa strenua di Armao da parte del suo “rivale”: “Ha la mia fiducia perché il presidente nazionale di Forza Italia ha dato la sua fiducia, quando mi ha chiesto di inserirlo in giunta per la sua competenza e la sua storia personale. Quando arriverà il momento del rimpasto, se arriverà, il mio compito sarà concordare con i coordinatori regionali dei vari partiti se mantenere o se sostituire un assessore. Concordare, non subire”. Musumeci, ringalluzzito dal recente feeling con Berlusconi, ha messo le mani avanti. Convinto di avere un sostegno che a Micciché, in questa fase, manca.
Nessuno in Forza Italia metterà all’angolo il commissario regionale del partito: il rapporto trentennale col Cavaliere parla da sé, così come i risultati raggiunti alle Europee. Ma l’idea che Armao, dopo i ripetuti inviti a cambiare registro, possa fregiarsi del titolo di “forzista” e continuare a giocare una partita a sé nelle dinamiche della Regione, è un fastidioso prurito. Il Cav, da padre nobile, tenterà fino all’ultimo di evitare strappi. Ma gli ultimi accadimenti portano dritti alla paralisi. Da settimane, ormai, la Regione è a “cassa zero” e non può più spendere. Inoltre, a parte due o tre cose elencate in aula dal governatore, in due anni non ha lasciato traccia. Questa semina sta andando per le lunghe. O forse è arrivata la siccità ma ancora nessuno se n’è accorto.