“Penso: poveri tutti. La “droga dello stupro”, le pasticche, la cocaina come borotalco, tutto proprio come in quella serie tv così realistica, Euphoria, così utile da vedere per capire. Poi leggo di avvocati ambasciatori e insegnanti di violoncello che si fanno recapitare a casa le medesime droghe e provo a pensare povere le mogli, i mariti, i figli di costoro – inconsapevoli. Da ultimo leggo che le mogli, i mariti, i figli fanno da corriere, mentono menzogne patetiche, l’argenteria da lucidare, addossano la colpa all’amico disgraziato ospitato in casa. Un senatore, un giornalista a suo tempo osannato come prodigio, un brillante uomo d’affari, una signora dedita al volontariato”. Lo scrive su Repubblica, Concita Di Gregorio. Chiaro il riferimento a Tommaso Cerno, finito nelle carte dell’inchiesta pur non essendo indagato. “E dunque tutti, i loro figli i fratelli ma forse chissà anche i nonni, intere famiglie fanno uno di nascosto dall’altro ciò che condannano in pubblico e qui vacilla la qualità fondamentale del cronista, mettersi nei panni. Non so più immaginare dove sia, il bandolo. Forse la matassa è inestricabile, forse è da buttare”, conclude la giornalista.
Enrico Ciuni
in Il sabato del villaggio
Concita al veleno: “Facile incolpare l’amico”
concita di gregoriotommaso cerno
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