Come riaprire la Sicilia

Il presidente dell'Ars Gianfranco Micciché, analizza il momento critico nei rapporti tra maggioranza e opposizione

Ci tiene a ribadire che fa il tifo per il governo, ma Gianfranco Miccichè ha ponderato bene i rischi. L’emergenza sanitaria, che rischia di protrarsi fino al primo weekend di maggio, non può e non deve comportare ulteriori perdite di tempo: “Vorrei che si cominciasse a parlare di come riaprire la Sicilia”, ripete a tutti il presidente dell’Ars. Un concetto stracotto, che adesso, però, assume i caratteri dell’urgenza. Sul Bilancio, ad esempio, la Regione rischia di cacciarsi in un cul-de-sac. “La trattativa con Roma va chiusa entro la prossima settimana – ammonisce Miccichè – perché esiste una norma costituzionale che impone di approvare il Bilancio entro il 30 aprile. Se entro il 15 non viene fuori un accordo potrei cominciare a star male”. La giunta ha approvato ieri notte una bozza di Finanziaria da circa un miliardo e mezzo, ma le somme dovranno trovare copertura a Roma, dove è in corso (dal 2018) un negoziato difficilissimo con la Stato. In cui Musumeci e l’assessore all’Economia, Gaetano Armao, sperano di strappare le condizioni più vantaggiose. Innanzi tutto, “liberando” il miliardo di contributo alla finanza pubblica, che quest’anno la Sicilia eviterebbe volentieri di versare.

Presidente, dalla relazione di Armao a Sala d’Ercole, mercoledì scorso, viene fuori una Sicilia commissariata, che non è più padrona del proprio destino. La Finanziaria si fa a patto che siano gli altri a metterci i soldi.

“Non è vero che siamo commissariati. L’importante è che non ci commissariamo da soli. Che la Sicilia debba versare ogni anno un miliardo per il risanamento della finanza pubblica è già difficile pensarlo. Ma in questo momento, dato che il Patto di Stabilità è saltato a causa del Coronavirus, lo Stato non ha più il problema dell’indebitamento nei confronti dell’Europa. Significa che quel miliardo non è più così necessario. Ce lo teniamo e abbiamo risolto il problema. Tutto il resto è fuffa”.

La fa facile. Il negoziato è aperto da agosto 2018, ma Armao ha sempre fatto viaggi a vuoto. Perché Roma dovrebbe accettare in due giorni un accordo di finanza pubblica che non ha chiuso in due anni?

“Da questa vicenda verrà fuori la forza e la serietà del governo Musumeci. Il Bilancio passa dall’accordo con Roma, non può esistere un piano-B. Quindi è logico che sia il presidente della Regione a trattare. Io sono stato per tanti anni al Ministero all’Economia e ho gestito, assieme dell’ex Ministro La Loggia, la conferenza Stato-Regioni. A quel tavolo ci si sedeva coi presidenti di Regione – di rado con gli assessori – e si discuteva. Credo che in un momento così grave, Musumeci abbia l’obbligo di andare, ragionare col Ministro o un suo delegato, ma soprattutto di mettersi d’accordo e fare squadra con gli altri governatori”.

E poi che succede?

“Non appena avremo i soldi, parliamo del resto. Altrimenti va a finire come con la storia dei cento milioni…”.

Anche lei si attacca ai 100 milioni? Volevano essere un contributo ai poveri.

“Anche in quel caso non sono soldi nostri, ma dell’Europa. E vanno rendicontati secondo le modalità dell’Europa. O qualcuno se ne va a Bruxelles a trattare, o le famiglie li prenderanno sei mesi dopo che sono morte di fame. Dirigenti e funzionari, non solo della Regione ma anche dei Comuni, hanno una paura immotivata delle procedure e nessuna voglia di correre dei rischi. I sindaci delle grandi città sono terrorizzati dall’idea di dover gestire migliaia di pratiche così complesse”.

Quanto tempo può ancora attendere la Regione prima di chiudere il Bilancio?

“Il Bilancio va approvato a fine mese. Il presidente dell’Assemblea può trovare qualche escamotage, ad esempio riunire l’aula il 30 e tenere la sessione aperta per una settimana. Ma non può andare oltre. Diciamo che entro la prossima settimana la bozza deve arrivare all’Ars. Detto che la modifica della costituzione prevede un iter molto lungo, e non ci sono segnali in tal senso, bisogna andare a Roma e chiudere la trattativa. Trattare non significa aspettare che qualcuno mi faccia da contabile. Sarebbe come attendere il fallimento della Sicilia. Non c’è un minuto da perdere. Bisogna muoversi. Lo dico con responsabilità, amando e tifando questo governo: ma non voglio correre il rischio di dover sciogliere l’Assemblea per la mancata approvazione del Bilancio”.

E’ preoccupato dal fatto che il lockdown possa protrarsi fino al 3 maggio?

“Mi sta bene il 3 maggio, ma vorrei che si cominciasse a parlare di come riaprire. A me non interessa la data, ma le azioni successive. Possiamo riaprire come se non fosse successo mai niente? O si riapre a determinate condizioni, con determinate regole, e dopo aver assegnato contributi e finanziamenti alle aziende che hanno avuto difficoltà? Io, ad esempio, ho parlato con qualche albergatore: che la Regione paghi due notti di pernottamenti ai turisti – come si è paventato negli ultimi giorni – va benissimo, ma in tempi di normalità. Qui gli albergatori non hanno più nemmeno le scorte. Non pretendono che gli si regali turisti, ma attrezzature”.

In che modo?

“Se un albergo funziona a regime, grazie agli incassi recuperi le spese. Ma se hai già un indebitamento con i fornitori e con lo Stato, e a questo si aggiunge il Coronavirus, il fatto di dover tenere fermo il personale etc., qualunque sia la quota diventa un onere. Non è più un investimento, ma una spesa. Secondo me bisogna individuare delle azioni mirate per far ripartire gli alberghi e tutti gli esercizi commerciali. Ciò potrà avvenire non appena si sarà conclusa la trattativa con Roma, e avremo capito quanti soldi abbiamo. Non possiamo usare per tutto i fondi comunitari del Poc (il Programma operativo complementare, quello dei 100 milioni)”.

Lei ha contestato la scelta contenuta nell’ultima ordinanza di Musumeci, che vieta la consegna del cibo a domicilio nei giorni di Pasqua e Pasquetta. Perché?

“Sono stato un convinto difensore delle scelte fatte dal governo, ma questa non riesco a capirla, mi pare una stupidità colossale. Per almeno quattro motivi: 1) La quarantena è pesante. Musumeci e l’assessore Razza, per via degli impegni, non stanno molto a casa. Ma se si chiede alla gente di restare a casa per Pasqua, almeno gli si dia la possibilità di mangiare. Lasciarli a digiuno mi pare una cattiveria; 2) bar e gastronomie sono in grossa difficoltà: se uno ha la possibilità di realizzare un buon incasso giornaliero, perché vietarglielo? 3) ci sono centinaia di ragazzi che si guadagnano da vivere facendo i rider e le consegne a domicilio. Perché penalizzarli? Dove sta il pericolo?”.

Manca l’ultimo motivo, presidente.

“La quarta ragione è che i palermitani, a Pasqua, non possono rimanere senza cassata. E se non la posso ordinare a casa, il rischio è che molti scendano giù a procurarsela. E sti certo che la trovano anche coi bar chiusi. Invece di venti motorini in giro per la città, preferiamo forse duemila persone per strada? Io vorrei capire chi ha partorito questa genialata. Non vedo un solo motivo per applicare il divieto. Voglio continuare a credere che questo sia un governo serio. E se un governo serio fa una minchiata, la corregge”. (Nota del redattore: ieri sera il governo ha acconsentito all’apertura dei generi alimentari fino alle 23 di questa sera, sabato)

L’ufficio di presidenza dell’Ars ha donato 680 mila euro. Una parte alle Asp, per dotare dei dispositivi di protezione i medici di base; un’altra alle comunità, come quella di Biagio Conte e di Sant’Egidio, oltre alle Caritas siciliane, che distribuiscono i pasti caldi ai poveri.

“L’Ars non aveva mai dato un contributo così importante. L’ha erogato l’Ufficio di presidenza, quindi è merito dei settanta parlamentari che l’hanno sostenuto, e per questo li ringrazio. Ho dovuto usare un po’ dei soldi che sarebbero serviti al restauro del Palazzo ex Ministeri, ma in questo momento è più importante salvare vite umane. La molla mi è scattata vedendo alcuni servizi alla tv, in cui è emerso che la mancanza dei kit di protezione impediva ai medici di base di effettuare le visite a domicilio. Ai danni procurati dal Coronavirus, si è aggiunta la beffa di non poter curare le altre malattie. Abbiamo ritenuto, senza proclami, che fosse il momento di fare qualcosa di importante”.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie