Nello Musumeci esce turbato da una settimana terribile sotto il profilo etico e morale. “Ma non ho nulla da rimproverarmi”. Le vicende dell’AST, che hanno portato a un’inchiesta della Guardia di Finanza, con l’iscrizione di 16 persone nel registro degli indagati, e hanno scoperchiato un ampio giro di corruzione e clientele nell’Azienda dei Trasporti siciliana (partecipata della Regione), non lascia indifferente il governatore. Ma non lo tocca in prima persona. Mai. Come se le funzioni di governo attenessero solo alla sfera personale (“Sono e resto una persona perbene”, ha detto il presidente a Repubblica) e fossero slegate dal controllo di questi carrozzoni immondi e imperituri, su cui non vigila nessuno. Tanto meno l’assessorato all’Economia, competente in materia. “La Regione, con l’assessore al ramo Armao, è intervenuta più volte sul presidente dell’Ast evidenziando le anomalie – ha obiettato Musumeci, da perfetto difensore d’ufficio -. Li abbiamo persino convocati. Non avevamo prove concrete al di là delle diffuse voci sulla spregiudicatezza del direttore”.
Non è servita quella convocazione, però, a disinnescare un vorticoso giro di trucchi, magheggi (con gli appalti) e raccomandazioni che hanno trasformato l’Ast nell’ennesimo assumificio. Così l’amarezza si mischia al disincanto: “Finché certa politica – ha spiegato Musumeci – si illude ancora di trovare il facile consenso attraverso il sistema clientelare o con la distribuzione dei posti di sottogoverno, anziché ricercare il voto di opinione attraverso il buon governo, temo che non andremo molto lontano”. Da buon governo a sottogoverno ce ne passa. E se è chiaro che sul primo saranno i siciliani ad esprimersi, sul secondo hanno voce in capitolo soltanto gli esponenti della politica. Sono loro – i capi dei partiti e del governo, cui spetta la roulette delle nomine – a decidere chi mettere a capo delle partecipate. Sono, o sarebbero, loro i custodi del buon andamento della macchina amministrativa. Sono, o sarebbero, loro a dover rendere questa macchina impermeabile a qualsiasi spiffero o infiltrazione (del malaffare).
Invece, quando accade ciò che è accaduto all’AST o alla FOSS, o con l’inchiesta sulla sanità aperta dalla Procura di Trapani (ma anche in alcune scelte relative alla gestione dei rifiuti, o sull’eolico, che implicano il coinvolgimento di privati ammanicati prima col malaffare e poi con la Regione), il presidente Musumeci cade sempre dal pero. “Da eurodeputato prima e da governatore adesso non ho mai portato a casa una penna dall’ufficio – rilancia -. Perdono solo tempo con me. Ci provano col fango ma non ci riescono mai. L’accusa di raccomandazioni e di favoritismi, se rivolta a me, sarebbe puramente risibile”. E ancora: “Io ho combattuto una mia battaglia in questi cinque anni. Con la squadra di governo abbiamo messo alla porta mafiosi, affaristi, lobbisti improvvisati”.
Qualcuno di loro si è già ripresentato, come ha spiegato Antonello Cracolici dopo aver intercettato (in)gloriosi faccendieri nelle stanze di alcuni assessorati. Ma anche all’interno delle partecipate, i cui Consigli d’amministrazione sono decisi dalla politica, si annidano presenze inquietanti. E’ mai possibile che agiscano per conto loro, o dei partiti di rappresentanza, e il governo non ne sappia nulla? “La commissione Territorio dell’Assemblea aveva prodotto tempo fa al presidente dell’Antimafia regionale svariati documenti di denuncia sulle assunzioni clientelari – ha detto Musumeci, giocando allo scaricabarile -. L’Antimafia mi sembra che stia aprendo solo nelle ultime ore un’indagine. Non aggiungo altro”.
La “distribuzione dei posti di sottogoverno” che, secondo Musumeci, è appannaggio di certa politica, riguarda anche il presidente e la sua squadra. Le nomine le decide il governo. E la logica utilizzata in questi anni – è cronaca, non supposizione – è la medesima del passato: prevede di accentrare tutto. Nella sua intervista a Repubblica, Musumeci punta il mirino contro il cerchio magico di Crocetta, reo di aver indotto frequenti pratiche clientelari: “E’ una consuetudine della vecchia politica, dura a morire”. Ma anche con Nello e Diventerà Bellissima è tutto “roba nostra”. Il suo cerchio magico, diverso per numeri, proporzioni e scandali da quello di Crocetta, non può dirsi al riparo dall’accusa più grave: aver occupato tutto. A partire dai posti di sottogoverno.
L’Ente di sviluppo agricolo che Musumeci avrebbe voluto chiudere, non solo è rimasto: il presidente ci ha messo a capo uno dei suoi fedelissimi, ex presidente dell’assemblea regionale del suo partito. Anche l’Irfis, la banca della Regione, è stata blindata con il coordinatore della sua segreteria tecnica. L’Orchestra Sinfonica, di cui Buttanissima ha parlato approfonditamente, è commissariata dallo scorso aprile: finita nelle mani di un fedelissimo dell’assessore al Turismo, accusato dai Cinque Stelle – gli unici a tenere gli occhi aperti – di operare con poca trasparenza (eufemismo). A capo della struttura tecnica per l’emergenza Covid è finito un ex dirigente regionale, sbugiardato dall’Ars per aver espresso commenti lesivi del parlamento, ma ancora lì al suo posto. Nonostante tutto. Se l’è cavata con un provvedimento disciplinare, e tutti amici come prima.
Nella galassia delle partecipate, che in questi quattro anni sono rimaste in vita nonostante le implorazioni della Corte dei Conti e dal Consiglio dei Ministri di chiuderne alcune, e quasi mai – al netto degli scandali – rappresentano un esempio di lungimiranza gestionale, si annidano i peggiori vizi della politica. Prendete Sicilia Digitale, che continua a drenare risorse alle casse dell’Amministrazione (12,3 milioni, di recente, per chiudere un paio di contenziosi che avrebbero potuto decretarne il fallimento), non becca una commessa, e nel frattempo continua a consumare la credibilità delle istituzioni: un mese fa la procura regionale della Corte dei Conti ha citato in giudizio per danno erariale gli ex amministratori, fra i quali Antonio Ingroia, per un totale di 828 mila euro di compensi e rimborsi illegittimi.
Questo è solo uno spaccato del sottogoverno siciliano, che ospita al suo interno 7 mila dipendenti. La politica, tuttavia, si dimostra ingorda e, come nel caso dell’AST, prova a riempire lo scacchiere in maniera scientifica. Avanzando richieste, fornendo papelli, utilizzando le società interinali come uffici di collocamento. Bypassando qualsiasi controllo – severo – che l’amministrazione non impone. E qui torniamo al punto di partenza: chi è davvero colpevole di questa gestione scellerata? Se l’azione di governo, nelle scelte di occupazione del potere, non prevede il rispetto degli altri, cioè dei siciliani e di tutti i rappresentanti parlamentari, come si può tentare di ridurre le colpe “altrove”?