Gli equilibri già precari fra Matteo Renzi e il resto della coalizione, in primis i Cinque Stelle, sono venuti meno su Alfonso Bonafede, al secolo Fofò, Ministro della Giustizia. Che il Guardasigilli rappresentasse il vero nodo dell’accordo lo si è capito dal tweet polemico di Renzi, dopo che il tavolo sulla crisi era saltato per aria. Ma anche nei giorni immediatamente precedenti alle dimissioni di Conte, che facendo quel passo indietro evitò di cadere nella trappola della “relazione sulla giustizia”, in programma per il giorno dopo alla Camera, che avrebbe comportato per il prof. una bocciatura parlamentare, e non solo a mezzo stampa. Conte ha provato a non cedere fino alla fine. Nelle fitte conversazioni di ieri pomeriggio con Franceschini e Vito Crimi, reggente del M5s, ha provato a tenere il punto: dichiarando che l’unico sacrificio possibile era spostare Fofò da un dicastero all’altro, togliendolo dall’impiccio della prescrizione e della riforma dei processi. Cercando di “insabbiare” alcune figuracce epiche, come il video sul rientro in Italia di Cesare Battisti, la nomina al Dap e persino lo scontro con Nino Di Matteo, che aveva imbarazzato l’intero Movimento.
Ma niente, Renzi lo voleva fuori. E così è stato. L’ultima frontiera del giustizialismo grillino, elemento divisivo di questa legislatura e in parte della precedente (Salvini l’ha sempre tartassato) a causa di una visione un po’ troppo manettara, non c’è più. Si è dissolto assieme a Conte, che fu lo stesso Bonafede a introdurre nel gotha della politica attiva. Prima facendolo entrare nella squadra dei potenziali ministri – alla presentazione della squadra del M5s, con Di Maio, era lì che sa la rideva – poi indicandolo come premier potenziale. Accompagnandolo, passo passo, verso l’incoronazione. L’avvocato del popolo nuovo presidente del Consiglio, sembrava uno scherzo.
E non è bastata la difesa a oltranza del giornale di Marco Travaglio, che proprio ieri, alla vigilia del giorno più duro, ha chiamato a supportarlo un santone dell’antimafia come Gian Carlo Caselli, ex procuratore di Palermo. Che sul Fatto ha evidenziato come, secondo lui, non si “può condizionare la formazione di un governo alla sostituzione di un ministro considerato inadeguato se invece a essere inadeguato è proprio questo giudizio. Mi riferisco ad Alfonso Bonafede” per il quale “i profili positivi mi sembrano nettamente prevalenti”. Ne ha citati alcuni, senza convincere nessuno. L’allievo di Conte, ai tempi dell’Università di Firenze dopo quest’ultimo insegnava Diritto civile, non ha fatto nulla per toglierlo dall’imbarazzo. E l’avvocato, persona perbene e incorruttibile, ha scelto di portarlo con sé fra i dimentichi della politica. E’ toccata a entrambi la stessa fine.