Da quando Crocetta decise di spazzarle via in diretta televisiva, dall’amico Giletti, per le ex province siciliane è iniziata una lunga discesa agli inferi, che oggi, a sei anni di distanza, appare inarrestabile. Da un lato l’impossibilità di far quadrare i conti, chiudere i bilanci e pagare il personale; dall’altro la cronica incapacità di garantire i servizi fondamentali, come la manutenzione delle scuole e delle strade, o l’assistenza ai disabili. In mezzo la politica siciliana: che ha decretato il ritorno alle urne (si tratta di elezioni di secondo grado, demandate a sindaci e consiglieri comunali), ma non è ancora riuscita a far tirar fuori dalle casse dello Stato i soldi che agli enti intermedi spetterebbero.
Sono infatti circa 270 milioni di euro (dal 2016 al 2019) le somme per la spesa corrente ricevute in meno dalle ex province siciliane rispetto a tutte le altre ex province italiane. Si tratta del famoso “prelievo forzoso”, dichiarato incostituzionale e in parte risarcito per tutte le regioni fuorché la Sicilia. In commissione Bilancio alla Camera dei Deputati, da qualche mese è in discussione un disegno di legge, a firma di Nino Germanà (Forza Italia), in cui si chiede allo Stato la sospensione del prelievo forzoso e la restituzione del mal tolto. Ma mentre i parlamentari cercano di recuperare i 270 milioni “scippati” dallo Stato, la Regione ha avviato una trattativa col Governo centrale che rischia di consumare – se qualcuno, come Stefania Prestigiacomo, non avesse fiutato il pericolo – una doppia beffa a carico di Consorzi e Città Metropolitane, già stremate dalla carenza di liquidità.
“Mentre noi, da parlamentari nazionali, stiamo conducendo una battaglia che non è ideale, né di testimonianza – racconta la Prestigiacomo – abbiamo appreso che si stava lavorando ad un accordo al ribasso Stato-Regione su un primo trasferimento a favore della Sicilia. Il Governo regionale in pratica stava accettando di trasferire alla spesa corrente delle risorse dai fondi per gli investimenti, già assegnati all’Isola, che scadono nel 2021. Cioè lo Stato non ci restituirebbe i 270 milioni illegittimamente prelevati e accetterebbe che con soldi per costruire strade, ponti, ospedali venissero pagati gli stipendi degli ex dipendenti delle Province che ovviamente vanno assolutamente pagati, ma con risorse appropriate. Un caso da manuale di “cornuti e mazziati” con il beneplacito del governo regionale che accetterebbe questa proposta indecente”.
Un non addetto ai lavori potrebbe concludere che si tratta comunque di soldi…
“Certo, ma è come dire hai i soldi per la spesa e i soldi per il mutuo della casa. Io ti levo i soldi per la spesa ma ti consento di pagare al supermercato con i soldi per il mutuo. Così potrai mangiare ma ti leveranno la casa…Mi dispiace ma i diritti non si svendono. Non c’è una sola ragione plausibile, sostenibile, accettabile per cui lo Stato abbia rimborsato parte dei tagli, fatti attraverso il prelievo forzoso, alle province del resto d’Italia. E alla Sicilia no. Noi abbiamo una provincia, Siracusa, che è andata in default e che è fallita a causa di queste mancate risorse”.
Lei ha attaccato duramente anche il governo regionale. Perché avrebbe accettato questo accordo?
“A Roma si va con la schiena dritta per cercare di risolvere il problema. Non lo scopro certo io che erano pronti a firmare l’accordo. Lo rivelano le dichiarazioni del vice-ministro Castelli, contenute nei resoconti parlamentari o le numerose dichiarazioni stampa del sottosegretario Villarosa. E sembra che prima di toccare i fondi strutturali, si volesse attingere all’edilizia sanitaria”.
Si vocifera che in cambio di questa soluzione, lo Stato non avrebbe impugnato la Finanziaria regionale. Su cui pende un maxi disavanzo da 540 milioni da restituire in tre anni…
“Su questo ricatto, o baratto, non so come definirlo, deve essere il presidente della Regione a dire come stanno le cose. Comunque mi spiace constatare che mentre Musumeci chiede il sostegno dei deputati nazionali, c’è chi, senza nessun tipo di raccordo o informazione, continua ad agire come se noi fossimo soltanto elementi ornamentali”.
Come si chiude questa vicenda?
“Con il rimborso fino all’ultimo euro delle province siciliane. Sa che palazzo Chigi ha dato un contributo una tantum da 30 milioni alle province in dissesto, tranne che alla Sicilia? Il governo regionale questa partita ha sempre ritenuto di doverla giocare da solo. Lo faccia se è così bravo ma non al ribasso. Accettare un accordo che prevede di sottrarre fondi agli investimenti per pagarci gli stipendi non va bene: si chiama dequalificazione della spesa ed è una cosa grave”.
E col disegno di legge Germanà come la mettiamo?
“Se il governo regionale svende la Sicilia e accetta soluzioni penalizzanti di quel tipo, noi il provvedimento lo ritiriamo. Ma di cosa parliamo? In una situazione del genere dovremmo agire in maniera univoca, e andare tutti nella stessa direzione. Con trasparenza”.
Alla Regione, nel suo comunicato stampa, ha contestato anche il fatto di non aver portato avanti i contenziosi con lo Stato di fronte alla Corte Costituzionale.
“Crocetta ha svenduto la Sicilia perché ha ritirato tutti i ricorsi alla Corte Costituzionale. Ma il recente accordo sottoscritto con Roma dice che la Regione s’impegna a ritirare l’ultimo ricorso alla Corte Costituzionale più tutti quelli in corso. Bisogna essere chiari coi cittadini”.
Ha avuto modo di parlarci con qualche membro del governo siciliano?
“È sempre più difficile”.
Adesso che succede?
“Sono curiosa di sapere cosa pensa di tutto questo Musumeci. Poi attenzione: se diamo seguito a questo “baratto” prospettato dal governo centrale, Lega e 5 Stelle verranno a fare il pieno di voti alle Europee perché si dirà che avranno risolto il problema delle province. In realtà ci stanno dissanguando”.