Un cambio di strategia in corsa che suona quasi come una minaccia. Nel mirino di Nello Musumeci, in rotta col parlamento e coi partiti, sono finiti pure gli assessori. I suoi assessori. Quelli che al gran completo, e con pochissime eccezioni (i forzisti Scilla e Zambuto, il leghista Samonà) avevano partecipato all’incoronazione in stile Carlo Magno (ma senza papa Leone III) alle Ciminiere di Catania, il 20 novembre scorso. L’appuntamento ultra-elettorale in cui il presidente della Regione confermava di essere ricandidato. La storia è cambiata, però, nell’arco di un pomeriggio. Il tempo materiale di essere sfiduciato dall’Ars, e spargere veleno sul parlamento. Adesso è il momento del confronto più serrato: quello coi partiti. Che avranno l’onere e il privilegio di indicare una rosa di assessori su cui Musumeci metterà il cappello. O manderà giù a forza.
Azzeramento vuol dire azzeramento. Via Razza e Cordaro. Via Lagalla e Messina. Via Armao e Falcone. Questi sei, che rientrano nel cerchio magico del presidente, quante possibilità avranno di essere riconfermati? E, soprattutto, chi darà il via libera? Difficilmente Forza Italia e la Lega si presteranno al gioco di Musumeci, che intende ‘congelare’ una quota di fedelissimi. Fosse per lui non rinuncerebbe a nessuno. Il presidente, semmai, potrebbe essere disposto a restringere il cerchio dei centristi (puntando sul sovradimensionamento dell’Udc), magari affittando una poltrona agli ex grillini di Attiva Sicilia (che in una nota hanno già garantito l’impegno per “il rispetto del mandato elettorale”). Ma il resto è un tormento esistenziale (ed esiziale) che andrà risolto in pochi giorni. La Sicilia non merita una crisi al buio in piena pandemia, e con un mare di compiti per casa già assegnati. E infatti Musumeci ha deciso, questa mattina, che tutto è rimandato al termine dell’approvazione dell’esercizio provvisorio.
Ormai, però, i buoi sono scappati dalla stalla e la figuraccia – giacché si trattava del voto per eleggere i delegati al Quirinale – ha fatto il giro delle segreterie nazionali. “Non posso non prendere atto dell’esito del voto espresso dall’Aula e del suo significato politico. Se qualche deputato – vile e pavido – si fosse illuso, con la complicità del voto segreto, di aver fatto un dispetto alla mia persona, si dovrà ricredere. Perché il voto di questo pomeriggio – per la gravità del contesto generale – costituisce solo una offesa alle Istituzioni regionali, a prescindere da chi le rappresenta”, ha detto Musumeci a fine seduta. Un pensiero divenuto devastante poco dopo, sui social, quando il governatore definisce “scappati di casa”, “ricattatori” e “accattoni” i deputati che non l’hanno sostenuto (“Ma non mi faccio intimidire, me ne frego dei condizionamenti”) e, in anticipo rispetto alle previsioni, annuncia l’azzeramento: “Musumeci non lascia, ma rilancia. Faremo un esecutivo responsabile che ci porti fino all’ultimo giorno di campagna elettorale. Parlerò coi rappresentanti dei partiti e chiederò di darmi una rosa di assessori. Probabilmente qualcuno verrà confermato”. Già, ma chi?
Dalle opposizioni rimbalzano gli attacchi. “E’ la prima volta che un presidente della Regione riceva meno voti di un candidato dell’opposizione – dice il segretario del Pd, Anthony Barbagallo – Il voto dell’Ars parla chiaro, per Musumeci è una disfatta. Per il centrosinistra invece – prosegue – un buon risultato: contavamo su 24 voti ne abbiamo ottenuto 8 in più”. Tranchant l’intervento di Giuseppe Lupo, capogruppo dem: “Se Musumeci, come dice, ha preso ‘atto dell’esito del voto e del suo significato politico’ si dimetta subito. La pausa di riflessione che il presidente della Regione siciliana, di fatto sfiduciato, ha annunciato è semplicemente ridicola. Il presidente Musumeci è naufragato in aula a conferma della propria totale inadeguatezza”. Il grillino Di Paola, che rappresenterà le opposizioni nel voto del Quirinale, sostiene che “il governo Musumeci non ha più una maggioranza all’Ars ed è al capolinea”.
Claudio Fava, dei Cento Passi, sottolinea che “a prescindere dalle decisioni che il Presidente prenderà nelle prossime ore, il voto di stasera certifica che Musumeci non ha più alcuna maggioranza. Ne preda atto, quantomeno per salvaguardare la dignità della funzione che rappresenta. Nei prossimi mesi, per le scelte che la attendono, la Sicilia avrà bisogno di un governo autorevole, legittimato da una solida maggioranza. È chiaro che quel governo non potrà essere guidato da Musumeci. Le sue dimissioni rappresenterebbero oggi un atto di decenza e di rispetto per le sorti della Sicilia”.
Ma il commento che fa più rumore è quello del sindaco di Messina e prossimo competitor alle Regionali, Cateno De Luca: “Mi auguro che il presidente Musumeci prenda atto della sonora batosta e si dimetta immediatamente perché la sua sbandierata maggioranza non esiste più o forse non è mai esistita. Un presidente della Regione Siciliana che prende meno voti di un deputato per l’elezione dei tre delegati per eleggere il Presidente della Repubblica è la conferma della debolezza politica di Musumeci”. Ma, conclude il sindaco, “secondo me non si dimetterà neanche con le bombe perché ormai è affetto da poltronite”.