La sfuriata di mercoledì sera in diretta Facebook, in cui ha dato degli “accattoni” e degli “scappati di casa” ai deputati della sua stessa maggioranza, è stata una caduta di stile fragorosa. Ma con l’annuncio unilaterale dell’azzeramento degli assessori, che nessuno dei partiti ha preso veramente sul serio, il presidente della Regione ha fatto un salto nel vuoto. Oltre a collezionare l’ennesima figuraccia e firmare la sua condanna a morte (politicamente parlando). Non che qualcuno dei big del centrodestra l’abbia preso sul serio: “Nun fa nenti”, è la profezia più diffusa. Ciò non cambia di una virgola il destino amaro del governatore.
Il proposito di azzerare la giunta e ripartire da un esecutivo “responsabile”, “che deve portarci verso l’ultimo giorno di campagna elettorale”, potrebbe rivelarsi una sceneggiata. Un’altra. O, magari, il tentativo disperato di stanare i partiti e dare vita a un “governo dei migliori” che completi degnamente la legislatura ma che non può prescindere, nell’ottica di Musumeci, da un patto sulla propria ricandidatura, oggi lontana più che mai. Ed è proprio per questo che nessun partito è orientato a concedere il rimpasto. E’ impensabile (e irresponsabile), durante una crisi, giocare due mani allo stesso tavolo. Cui prodest? Gli assessori hanno già consegnato al governatore le proprie dimissioni in bianco. A lui non rimarrà che strapparle. Anche l’ultima predica, infatti, è destinata all’oblio.
Anzi, il gesto dell’altra sera, le minacce di dimissioni, l’insulto iracondo, la sconfitta plateale sono un motivo per staccare i fili una volta per tutte. Musumeci l’ha capito e ha subito cercato di correre ai ripari. I contatti con la Meloni, al momento, sono molto rarefatti. La Sicilia, da sempre ai margini dell’universo politico, non è una questione da affrontare adesso, con un presidente della Repubblica da eleggere e una strategia da pianificare per mandare al Colle Berlusconi (o Draghi, o chiunque esso sia). Lo diventerà a febbraio, quando la scelta dei candidati – prima a Palermo, poi per Palazzo d’Orleans – entrerà nel normale processo della politica e dei tavoli romani. Qualcosa si sarebbe comunque mosso, ma l’autogol dell’altra sera, e la bocciatura piccata dei “franchi tiratori” della maggioranza non depongono a suo favore. Tutt’altro.
Rumors di corridoio parlano di una forte convergenza tra le due ali del Carroccio: quella del segretario Minardo e del ‘ribelle’ Sammartino, che dal suo ingresso nel gruppo aveva sempre manifestato un malessere pronunciato, anche per questioni personali, nei confronti del presidente della Regione. Poi c’è Raffaele Lombardo, che a dispetto della sua ‘tangenza’ rispetto alla politica attiva, è vicinissimo alle posizioni di Salvini. E infine Forza Italia, che più volte e ripetutamente, ha manifestato un lampante fastidio per i ‘consiglieri’ di Musumeci, definiti “quattro sciacalletti” da Gianfranco Micciché. Ultimamente il vicerè berlusconiano è tornato all’attacco dell’imperatore Ruggero e della gestione della sanità, considerata un problema. Il mondo attorno al pizzo magico si sta lentamente sgretolando e persino Fratelli d’Italia, che da qualche mese tiene aperti i canali della “trattativa” per una federazione, non è unanime nel sostegno al presidente. Stancanelli ha sempre messo in guardia tutti. Con queste basi è impossibile costruire un consenso unanime, e dare slancio a una campagna elettorale che si preannuncia lunga e tortuosa.
Ecco perché le soluzioni sono un paio: Musumeci che si presenta da solo al cospetto dei siciliani, con una mossa alla De Luca, che farebbe crollare però le quotazioni di un prossimo presidente di centrodestra; o Musumeci che rinuncia alla sfida, ma solo in cambio di una contropartita: ad esempio un seggio garantito al Senato. Nelle liste della Meloni, s’intende. Questa opzione sembra la più credibile e la più battuta, nonostante gli slogan: “Alla mia età e con la mia storia – ha detto il governatore al Giornale di Sicilia – non c’è più tempo per disegnare carriere romane. Io resto qui a servire la mia Isola”. Il senso paternalistico sfoderato in queste ore, il tentativo di stabilire un contatto con i siciliani (“Ho un impegno con loro per cambiare assieme questa terra, amara e bella”), di apparire in tutta la sua rettitudine e onestà (al netto di qualsiasi trappolone o “atto intimidatorio”), sembra appartenere alla seconda strategia: riprovarci ad ogni costo. A dispetto delle convenienze.
“Non ne avrà il coraggio”, sibila un big della maggioranza. Lo stesso coraggio che gli è mancato per dimettersi. O per azzerare la giunta. Per andare in fondo alla crisi e risolverla in fretta, anziché congelarla. Il coraggio che Musumeci perspicacemente rivendica: “Macché dimissioni. Musumeci non lascia, ma rilancia”, è stato il messaggino sublimato dall’esibizione muscolare sui social. Fra due o tre risolini amari, che lasciano filtrare – però – ben altro stato d’animo.