Esiste un modello politico chiamato Meloni? La presidente del Consiglio aveva diciotto anni quando a Fiuggi fu abbandonata la casa del padre, come disse allora il delfino di Almirante, Gianfranco Fini. Dunque la sua maturità è estranea al retaggio del fascismo e del reducismo. Con il fenomeno Berlusconi, il maggioritario e l’alternanza di governo, il sistema dei partiti uscì dallo schema dell’arco costituzionale, l’esclusione della destra postfascista dall’area della presentabilità governativa. I primissimi passi della giovanissima attivista e dirigente poggiano su questo terreno. Quasi trent’anni dopo il suo esordio precoce, dopo un tragitto politico interno al berlusconismo, la carriera di Meloni approda alla fondazione e poi alla guida di un piccolo partito, nato nel 2012, che si emancipa dall’ultima incarnazione del centrodestra berlusconiano senza rompere con quella formula, dal centro moderato alla destra, ma recuperando autonomia d’azione in quei panni come alleato indipendente e partito di opposizione. Il codice genetico di Meloni è quello, e alla fine una svolta d’opinione, nella crisi delle varie soluzioni politiche succedutesi (Berlusconi, Monti, Renzi, grillini e Lega, centrosinistra più grillini, Draghi), la porta alla guida di una maggioranza di centrodestra resa possibile dal suo successo personale nell’alleanza, dalla fiacchezza della sinistra, dalla divisione con i grillini o postgrillini di Conte, dalla scomparsa del centro.
Da due anni e qualche mese ci si domanda che animale politico sia Meloni, che cosa rappresenti davvero. La domanda è pressante perché tutti vedono come sia ingarbugliata, infragilita e depotenziata la cornice di democrazia liberale classica entro la quale le élite occidentali hanno cercato di muoversi o hanno registrato una pericolosa stasi e un arretramento in un mondo in tumultuosa evoluzione o involuzione.
I fenomeni extraeuropei di questo cambiamento si conoscono fin troppo bene, da Putin a Trump con le rispettive oligarchie delle materie prime e tecnologiche e con un sistema di egemonia in via di consolidamento che produce tratti esplosivi di prefigurazione di una società illiberale. Con un sistema di alleanze mondiali anch’esso illiberale, compresi i conflitti potenziali tra i nuovi protagonisti. Sono
mondi dove non si vota (Cina), dove si vota in uno schema plebiscitario e autocratico (Russia), dove si vota e si minaccia di governare nel quadro evidente di una riduzione dei pesi e contrappesi del liberalismo costituzionale e con un tono energetico inaudito, che scardina la politica convenzionale e afferma nuovi poteri tecnocratici e formidabili conflitti di interessi oggi pienamente allo scoperto (dalla Turchia all’Ungheria all’India, e naturalmente e principalmente agli Stati Uniti). Continua su ilfoglio.it