E’ crollato anche l’ultimo baluardo. In Sicilia, volendo un attimo esasperare il concetto, non esiste più la destra. Non come la pensavano Nello Musumeci ed Enzo Trantino, che al congresso di Diventerà Bellissima di domenica scorsa hanno sancito la propria distanza dalla destra attuale, quella intossicata dal populismo dilagante, da un sovranismo “che non fa gli interessi della Sicilia”. E da una forma di razzismo latente che ha fatto prendere al governatore le distanze da Salvini e Meloni, in un colpo solo.
Musumeci ha chiesto alla sua vecchia amica Giorgia, con cui fino a qualche mese ha tenuto i canali aperti, di togliere la fiamma dal simbolo. Non sopporta l’idea che qualcun altro, a parte lui e Trantino, se ne sia appropriato. Lui, Musumeci, rimane un uomo di destra. Ma vira al centro perché a destra lo schieramento è già occupato da due forze in cui nemmeno si riconosce (e l’una, Fratelli d’Italia, viene nominata più volte a mo’ di scherno). Quindi si rivolge all’anima dei moderati, riporta di prepotenza sulla scena politica Gianfranco Miccichè e Saverio Romano, che accolgono con soddisfazione – e senza un minimo di sospetto – il “salto della quaglia”. Che poi, diciamocela tutta, Musumeci e il suo savoir fare c’entrano poco o niente con la politica urlata della Lega. Col blocco navale di Fratelli d’Italia. Anche se rinunciare all’ideologia e preferire la convenienza, in una congiuntura politica complessa da decifrare ed elaborare, rischia di creare un precedente.
Un solo partecipante al dibattito pubblico del movimento, l’ex sindaco di Catania Raffaele Stancanelli, è rimasto tutto il giorno con lo sguardo torvo. Lui, che di Diventerà Bellissima è stato uno dei fondatori, ha perorato fino in fondo la causa di Meloni, al cui gruppo parlamentare ha dovuto iscriversi dopo l’elezione alle ultime Politiche (in quota Musumeci). Ha provato a convincere il resto della truppa – che aveva già scelto di defilarsi – che costruire la seconda gamba del centrodestra era possibile alleandosi con gli ex An (nemmeno tutti, perché una parte lotta e resiste dentro Forza Italia). Ma niente, non c’è stato verso. Alla fine la sua mozione è stata sconfitta da quella del governatore, che in questa virata al centro, dove trova campo sgombro e persino debolissimo, potrà sguazzare da dopo le Europee. Da Diventerà Bellissima a Diventerà Democristiana, secondo qualcuno.
Cade la destra, risorge il centro. Anche se l’equazione non è poi così scontata. Perché a destra c’è la Lega: anti-sistema, anti-convenzionale, sempre anti-qualcosa. E’ la natura delle cose, il segno dei tempi. Al centro, invece, è in atto una desertificazione che in Sicilia, a più riprese, ha provato rialzare la testa. C’è riuscita alle ultime Regionali, dove i partiti in ordine sparso hanno consentito a Musumeci di diventare presidente (non gli garantiscono, però, una maggioranza e uno spirito riformatore). Ma già alle Politiche, di fronte allo scoglio del voto d’opinione, si è frantumata. Poco e male, resiste Forza Italia; l’Udc – per ammissione dello stesso Musumeci – “non riesce a raggiungere percentuali degne”; Popolari e Autonomisti provano a fare strada insieme per rendersi riconoscibili. Insomma, il campo è sgombro per davvero. Ma forse sarà anche arido. La vecchia destra che mira al centro ha un bisogno disperato di menti e sementi nuove. E di far riposare la terra in vista delle Europee (a cui tutti insieme, escluso Stancanelli, hanno scelto di non partecipare).
Fa strano che una forza politica che intende rappresentare, dal basso, milioni di elettori, se ne stia in disparte all’interno di una contesa in cui, al netto delle figuracce, ci sarebbe stata una prima occasione per contarsi. Così, il 6% delle Regionali, pur senza un’indicazione dall’alto (anzi, scatterà la tagliola per chi sceglie di fare propaganda), andrà a rinfoltire schieramenti populisti o stantii, o a rimpolpare la tassa dell’astensionismo. Che in una fase di così grande importanza rischia di rendere l’Europa più debole. Non sarà quel 6% a cambiare le carte in tavola a Bruxelles, ammesso che il messaggio non sia “fregatevene”. Semmai, “votate per chi volete”, che è molto più cristiano.
Qualcuno, in Diventerà Bellissima, è rimasto deluso. Non avrà una ics da apporre, un candidato da sostenere, un vessillo da sventolare. La lontananza dalla fiamma e dai vecchi idoli d’infanzia, come Almirante, è una rinuncia che logora. Ma in tanti, dentro Diventerà Bellissima, sono colonnelli di Musumeci, cresciuti col suo mito, e ne apprezzano la visione da statista, lo spirito camaleontico, il profilo istituzionale. Rimarranno al suo fianco, prodighi al buon governo. Si godranno un turno di riposo più che volentieri. Vedranno la destra siciliana finire in mano al Carroccio. Fratelli d’Italia, sottostimata come sempre, nell’Isola ha chiuso un accordo con gli Autonomisti di Lombardo e non è più la prosecuzione di quel sogno tricolore che fu.
Diventerà Bellissima va verso un futuro a chiazze liberali. Un partito di levatura nazionale che nasca dalla Sicilia e si spinga fino in Liguria, dal governatore Giovanni Toti, che di recente ha mostrato più di qualche insofferenza verso Berlusconi. E che, dai suoi stessi compagni di partito, è considerato il più leghista tra i forzisti. Parrebbe uno sposalizio poco in linea con le ultime dichiarazioni. E col sostegno di Miccichè. Ma ci sarà tempo per parlare, pianificare, scegliere. Nessuna conclusione, resta solo il dubbio.