Gli umori, i rancori, le nomine, i buoni propositi (ogni tanto). E’ quello che rimane a Forza Italia, un partito a cui la funzione di governo non ha permesso – in Sicilia e altrove – di compiere uno scatto in avanti. La scomparsa di Berlusconi è stata una mazzata quasi definitiva. In effetti, nell’Isola, è difficile riemergere dall’immobilismo del governo Schifani: non c’è una riforma da intestarsi, o un risultato per cui eccitarsi. La gestione dell’esecutivo, che spesso equivale a quella del partito, è povera di sussulti; la gestione del potere, invece, è confinata ai pochissimi membri del “cerchio magico”, spesso sotto mentite spoglie: quelle di Renato Schifani. Prendete il buon Marcello Caruso: sulla carta è il commissario regionale dei berluscones, grazie a una forma di autoproclamazione imposta al Cav. quand’era ancora in vita. Nella pratica è un dirigente fedele, quasi docile, che ha un solo compito: convocare summit che si risolvono in fiaschi e dettare i commenti alle agenzie: l’ultimo per comunicare che nel vertice di lunedì non si è parlato di sanità (“Gli unici criteri di riferimento sono quelli della competenza e dell’esperienza”). Più che un responsabile di partito, è il ventriloquo del presidente della Regione, lo specchio del suo narcisismo.
Questa è la realtà di Forza Italia che diceva, a parole, di aver inaugurato una nuova fase: aperta, plurale, inclusiva. Salutata dall’ingresso del nemico storico Giancarlo Cancelleri, durante una convention al Politeama di Palermo. In seconda fila, alle spalle del governatore, trovò il modo per giustificarsi di fronte a una piroetta clamorosa – dai Cinque Stelle a Berlusconi – ma da quel momento s’è perso di vista. Un piccolissimo passaggio a sostegno di Trantino, a Catania, ma non abbastanza per assicurare un seggio in Consiglio comunale a qualcuno dei suoi sostenitori. Poi, niente più. L’ex viceministro alle Infrastrutture, che – secondo le promesse della vigilia – non avrebbe vissuto di alcuna rendita, non solo ha mantenuto fede all’impegno ma è stato addirittura accantonato. Non partecipa quasi mai al dibattito interno: non si sa bene quale idea abbia sulla sanità, sui termovalorizzatori (che il M5s detesta), sulle province. Il dibattito è spento e Cancelleri s’è spento.
Per non parlare dell’altro pezzo da novanta, Caterina Chinnici, che ha fatto il suo debutto a Milano, accolta da Tajani, e non ha mai avuto l’ardore di palesarsi in Sicilia (finora). Tranne in occasioni simboliche: come la presentazione di una mostra su Carlo Alberto Dalla Chiesa, qualche giorno fa, a Palazzo dei Normanni. C’era Lagalla, e c’era soprattutto Schifani. Anche in quel caso, come accade spesso alla Chinnici (persino quando si candidò alla presidenza della Regione in quota Pd) nessun accenno alla politica. Come se non la riguardasse. A pensar male si fa peccato, ma vuoi vedere che il nome della magistrata (in aspettativa) tornerà in voga alla vigilia delle prossime candidature alle Europee? Un posticino in Sicilia – nonostante l’ingombrante presenza di Cuffaro – si trova sempre…
Questi due, Cancelleri e la Chinnici, avrebbero potuto e dovuto rappresentare il valore aggiunto; fornire a Forza Italia una visione diversa (in tema d’antimafia e di diritti, magari); ricalibrare l’esperienza del partito in termini inclusivi, attingendo da orizzonti culturali diversi. E invece non hanno dato nulla. Come i calciatori relegati in tribuna, non parlano e non fiatano. Nessuno osa, nel regno di Renato. L’uomo della fiction. Che in verità è l’unico a fiatare, a distribuire incarichi, a nominare responsabili sui territori, a infastidire Tajani (salvo, poi, ritrattare). Ammansito anche Falcone, ch’era stato il capo della cordata ‘ribelle’ (poi commissariato da Armao e privato della delega alla Programmazione), nessuno che si faccia vedere o sentire. Il capogruppo all’Ars, Stefano Pellegrino, è il difensore d’ufficio quando serve. Ma gli altri? Spariti. Eppure FI ha eletto un bel gruzzolo di deputati: tutti ininfluenti, però; tutti piegati al valore della coesione, che suona quasi come un diktat. Assenti sulla scena pubblica, spenti nell’organizzazione, inefficaci nella proposta. Avrebbero praterie da riempire, data la pochezza legislativa; invece fanno scena muta.
Forza Italia rimane aggrovigliata nel narcisismo del suo leader, che è sempre alla ricerca di un diversivo per apparire. Si è ridotta a una baracchetta totalmente scollegata dal partito nazionale, che anche in occasione delle ultime nomine sulla depurazione – avallate dal ministro Pichetto Fratin – non l’ha considerata di striscio. Si è accontentata di esprimere il presidente della Regione (indicato dai cugini patrioti) e crede – forse – di poter vivere di rendita fino alle prossime consultazioni elettorali. Anzi, fino al momento prima, con la compilazione delle liste. Schifani, come ovvio, avrà l’ultima parola anche sulle nomine, in primis quelle dei manager della sanità (Volo è un assessore tecnico in quota FI ma non lo ricorda più nessuno). Ma è ancora troppo poco per accaparrarsi il gradimento dei moderati e la fiducia di Tajani e dei vertici nazionali, per accreditarsi come fucina d’idee, per tornare attrattiva come lo fu per Cancelleri e Chinnici, che infatti l’hanno scelta “accuratamente”. Il governatore, in quell’evento del Politeama, azzardò pure nuovi ingressi. Notizie? Macché…
Prendete gli altri partiti della coalizione. Non avranno lo stesso numero di voti, ma almeno si muovono. Cuffaro, con la sua DC, sforna amministratori locali a palate e prepara festoni un po’ agée; ma almeno ci crede, vibra di politica, raccoglie consenso, allestisce strategie. O Lombardo: ringalluzzito dall’esito della Cassazione, che l’ha ritenuto innocente una volta per tutte dopo dodici anni di martirio giudiziario, ha riportato gli Autonomisti al centro, ha riempito i bordi della pizza, i suoi voti fanno gola a tutti (da FdI allo stesso Schifani).
Senza dimenticare la Lega: sarà pure un esperimento mal riuscito quello di spacciare un partito del Nord come difensore della patria (e della Sicilia), ma qualcosa si muove anche nell’Isola. L’intraprendenza spaccona di Salvini sulle opere pubbliche, le recenti adesioni del Messinese, e infine la festa di Caltanissetta (in calendario il 14 ottobre) sono un sintomo di vitalità ritrovata. L’appuntamento delle elezioni europee, dove cinque anni fa il Carroccio raccolse il 20% (nella circoscrizione Isole), rappresenta il giro di boa, l’appuntamento da non fallire, un momento di resistenza collettiva (per contarsi e contare). FdI manco a parlarne: ha il vento in poppa e osa sfidare il governatore, perché sa di poterlo fare. Guadagna poltrone e consenso grazie alla spinta propulsiva di Giorgia Meloni. Un paragone con Schifani sarebbe impietoso, come quello tra una Red Bull (visto che impatto a Monza?) e un carro trainato da buoi. Voi chi scegliereste?