I volti del centrodestra unito, talvolta persino “allargato”, sono quelli di Massimo Grillo e Maurizio Dipietro. Il primo, a Marsala, la città più popolosa al voto, sbaraglia il campo dalla concorrenza. E si concede il lusso di interrompere, dopo appena una legislatura, l’esperienza di Alberto Di Girolamo. A sfoderare la poltrona per la seconda volta, invece, sarà l’avvocato ex Pd, che a Enna – grazie all’appoggio trasversale del civismo di destra e dei renziani – fa un sol boccone di tutti i competitor. Compreso il più temuto, Dario Cardaci, cui non basta il sostegno “oscuro” del ras Mirello Crisafulli. Assieme a quelli ottenuti in provincia di Messina – da Pinuccio Calabrò a Barcellona e da Pippo Midili a Milazzo – sono i risultati più netti. Che confermano un’evidenza: quando il centrodestra è unito non c’è storia.
Ma è vero anche il contrario, come dimostrano la circostanza di Termini Imerese o l’esito di Agrigento, dove bisognerà affidarsi al ballottaggio (e a un candidato civico: Franco Micciché) per spodestare Firetto. Se i partiti della coalizione di governo (all’Ars) si sfasciano, qualcuno ne approfitta. E’ il caso di Maria Terranova, la prima sindaca d’Italia figlia dell’alleanza fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. La Terranova, che nei giorni scorsi ha radunato per un aperitivo Cancelleri e Barbagallo, e poi ha accolto trionfalmente Luigi Di Maio, rimpettito a pochi giorni dal referendum, ottiene il successo più “strategico” di questa tornata. Fra l’altro, senza passare dal ballottaggio. Nella città provata da una enorme crisi occupazionale (e industriale), il centrodestra si era presentato con due candidati di punta, e ha finito per sopperire. Dem e grillini, così, buttano le basi per il 2022: alle prossime Regionali, a meno di clamorosi dietrofront imposti da Roma, si ritroveranno insieme per tentare di far fuori Musumeci (o chi per lui). Lo ha spiegato a caldo anche il termitano doc Luigi Sunseri, componente della commissione Bilancio a palazzo dei Normanni: “Il responso delle urne è anche un chiaro segnale che l’apertura alle altre forze politiche e alle liste civiche è un percorso che va esplorato in futuro”.
Gli alleati di governo, però, non sono riusciti a sovvertire i pronostici a Barcellona Pozzo di Gotto, dove l’immensa schiera di liste a disposizione dell’avvocato Calabrò (addirittura undici, Forza Italia ne ha presentate un paio) ha stoppato sul nascere il tentativo di Antonio Mamì. Che, vale sottolinearlo, era un civico di sinistra “prestato” al laboratorio grillino-democratico. Il M5s, almeno nelle città più grandi, esce male da tutte le realtà dove ha corso in solitaria. A Marsala, dove Aldo Rodriquez si è fermato al 6%; ad Agrigento, con la Carlisi (meno del 5%); a Enna, con la Amato (4,29%). Una conferma del pessimo feeling tra i profeti dell’anticasta e le realtà locali (l’anno scorso, quanto meno, si erano imposti al ballottaggio sia a Caltanissetta che a Castelvetrano). Persino ad Augusta, come avvenne a Ragusa un paio di anni fa, il M5s perde la guida del Comune “di frontiera”: pessima prestazione per Cettina Di Pietro, che nelle ultime settimane aveva provato a impedire l’approdo delle navi quarantena e accusato il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, per la gestione approssimativa dell’emergenza migranti. L’operazione “porti chiusi”, però, non le ha regalato un briciolo di consenso. Quarta, col 17%, è stata esclusa persino dal ballottaggio.
Mentre l’altra batosta – che non suona come una sorpresa – è quella della Lega. Ne erano consapevoli praticamente tutti: da Salvini a Candiani. Il Carroccio è stato vittima dell’ostracismo degli alleati e ha dovuto affidarsi a candidati di seconda fascia. Il risultato, però, è la dimostrazione lampante che il Carroccio, in Sicilia, non ha ancora attecchito. Né con la classe dirigente (in fasce), tanto meno con la forza delle idee, lontane dal sentimento popolare. A Milazzo, per citare una delle tappe del tour di Salvini prima del processo Gregoretti, Damiano Maisano ha fatto flop, totalizzando poco meno del 7% (è andata leggermente meglio la lista). E’ accaduto lo stesso per Daniela Catalano ad Agrigento, nonostante l’accordo con Fratelli d’Italia. E pensare che il Carroccio, inizialmente, avrebbe preferito puntare su Franco Micciché, il civico sostenuto dagli ex autonomisti (con cui era in ballo una federazione). Buio pesto anche altrove: a Marsala la Lega non esiste. Ad Augusta, dove si era consolidato l’asse con Musumeci, il candidato Massimo Casertano è giunto quarto, fuori da tutto. Una prestazione da pianto greco, su cui i vertici avranno molto da lavorare.