Scattano gli ultimi quindici giorni della campagna elettorale e con essi il divieto della pubblicazione dei sondaggi. Come a dire: ci siamo divertiti, ma ora si fa sul serio. L’ultima rilevazione commissionata dal Movimento 5 Stelle, e svolta da Keix, guarda caso vede il M5s in testa con il 23,8% delle preferenze, con Fratelli d’Italia, il Pd e Forza Italia a distanza di sicurezza (e la prima lista di Cateno De Luca al 13%). Ma nel mare magnum dei numeri pubblicati in questi giorni, in cui ogni partito cerca (e trova) il conforto nel sondaggio più appetibile, alcuni sono rimasti digiuni. E’ il caso dei centristi, che nelle ultime rilevazioni rimangono assai distanti dalla soglia di sbarramento del 5%; e anche della Lega, che in Sicilia continuerebbe a soffrire.
Vediamo nello specifico. Secondo Keix, il partito di Salvini si ferma al 3,7 per cento. Raggiunge il 4,9 per Ipsos, l’istituto di Nando Pagnoncelli che ha eseguito la rilevazione per il Corriere della Sera. E addirittura al 2,5% per SWG. Un disastro annunciato. Per entrare all’Ars bisogna raggiungere lo sbarramento del 5 per cento a livello regionale e in almeno cinque province. Stando a questi numeri, il Carroccio potrebbe non eleggere deputati. Ma sarebbe addirittura peggio per i centristi: in primis Raffaele Lombardo. Il leader del Mpa inaugurerà domani a Enna la campagna elettorale di Francesco Colianni e Annamaria Gemmellaro. La sua lista, dei Popolari e Autonomisti, comprende pure il cespuglio di riferimento di Saverio Romano. Ma a quanto pare non sfonda: si ferma all’1 per cento secondo Swg, all’1,3 per Ipsos e al 3,3 per Keix. Anche qui è a rischio la rappresentanza parlamentare.
Non va tanto meglio per un altro ex governatore: Totò Cuffaro. La sua DC ha chiamato a raccolta ciò che rimane dell’Udc prima della diaspora in altri partiti. A una condizione: zero uscenti nelle liste. La strategia, secondo le intenzioni di voto, non paga: la Democrazia Cristiana è al 2,1 per Keix, al 2,5 per SWG e all’1,6 per Ipsos. Anche in questo caso scatterebbero zero deputati. Proiettando i sondaggi di Lega, Mpa e Dc – cioè l’altra destra – al 25 settembre, verrebbe fuori un quadro impietoso: con Schifani, dato comunque per favorito (sebbene in ritardo sulle sue liste), che potrebbe contare su una giunta bicolore composta da Fratelli d’Italia e Forza Italia. Ma non su una maggioranza all’Ars. Musumeci, nel 2017, ottenne 36 parlamentari (su 70) pur avendo ottenuto il 42% nelle urne. Il suo papabile successore è ben al di sotto di quella soglia nelle intenzioni di voto. Ne deriverebbe un’Ars balcanizzata per la presenza del centrosinistra, del Movimento 5 Stelle e, questa volta, dei temerari di Cateno De Luca.
Per la coalizione di centrodestra, da sempre le forze moderate costituiscono una gamba inossidabile. Le danno in via d’estinzione e poi ci sono sempre. Basti vedere la presenza dell’Udc (fino a 3 assessori) nell’ultima giunta Musumeci. Il centro rappresenta, spesso, lo stato cuscinetto di una coalizione, quello capace di far ragionare gli estremi. Ma la polarizzazione del voto verso i due partiti maggiori (Fratelli d’Italia, che sfrutterà l’effetto trascinamento delle Politiche; e Forza Italia, che punta su vere e proprie corazzate grazie all’ingresso di nuovi esponenti, a partire da Tamajo e D’Agostino) rischia di cambiare tutto. E di farlo per sempre. La Dc di Totò Cuffaro, tornato un po’ a sorpresa sulla cresta dell’onda da un anno a questa parte, è stata capace di sovvertire i pronostici a Palermo, dove ha ottenuto l’accesso in Consiglio comunale affidandosi a una classe dirigente nuova e al carisma del suo leader (che in questi giorni ha riacceso l’attenzione sulle carceri, e sul reddito di cittadinanza agli ex detenuti). La strategia di puntare sul “nuovo” ha spinto fuori alcuni nomi di peso: a cominciare da Toto Cordaro, che dopo 25 giorni di militanza nell’Udc ha dovuto ripiegare su Fratelli d’Italia; ma anche Mimmo Turano ed Eleonora Lo Curto, che hanno scelto la Lega. L’ex sindaco di Modica Ignazio Abbate, nel Ragusano, farà incetta di voti: ma il resto è tutto da scoprire.
Così come l’Mpa, da sempre sornione in campagna elettorale, ma poi capace di condizionare gli equilibri di governo e parlamento. Questa è la campagna che sancisce il ritorno alla politica (semi)attiva di Raffaele Lombardo, dopo l’assoluzione nel processo che l’ha tenuto al guinzaglio per una decina d’anni. La punta di diamante è Giovanni Di Mauro, vicepresidente dell’Ars uscente, che si candida come capolista ad Agrigento. A Messina va sperimentata la convergenza con la famiglia Genovese, che ripropone Luigi (figlio di Francantonio) per un posto in Assemblea. L’alleanza col Cantiere Popolare regge in qualche modo. Enna e Catania sono le province chiave. Lombardo, che ha rinunciato a un seggio blindato al Senato, non ha mai rinnegato la federazione con la Lega di Matteo Salvini – che nell’Isola somiglia molto, per connotati e rappresentanti, a un soggetto centrista – anche se è stato chiaro fin dall’inizio che i partiti avrebbero corso con due liste separate. Ne aveva bisogno la Lega, dato il contingente corposo cui si affida.
La potenza di fuoco del Carroccio – che schiera Sammartino a Catania, Figuccia e Caronia a Palermo, Turano a Trapani – per il momento non trova grosso conforto nei numeri. Ma con questi nomi è lecito sperare. Sammartino, per citarne uno, nel 2017 raccolse oltre 32 mila preferenze nel suo collegio. All’epoca vestiva la casacca del Pd, poi passò a Italia Viva e nel frattempo è stato coinvolto in alcune vicende giudiziarie tutte da chiarire. Se influirà sull’esito del voto ce ne accorgeremo il 25 settembre. Fino ad allora la partita rimarrà aperta: il primo obiettivo del centrodestra è portare alla vittoria Renato Schifani (considerati gli ultimi sondaggi e la rimonta di De Luca non sarebbe una banalità). O tutti i calcoli andranno a farsi benedire.