Nella felicissima Sicilia
nessuno paga pegno

I pagnottisti si compattano. E per dimostrare che non temono né le critiche né i controlli si intervistano tra loro. A chi i soldi della Regione? “A noi”. La brigata degli arditi e dei faccendieri se ne frega. E strappa in faccia, agli onesti e ai moralisti, i giornali che denunciano lo scandalo di un clan che, con le imposture della comunicazione, intasca carrettate di denaro pubblico. In Sicilia, del resto, non paga pegno nessuno. Soffermatevi su Villa Sofia. Dopo che sono venute fuori le nefandezze dei pazienti abbandonati nei corridoi, il direttore sanitario non ha potuto far altro che dimettersi. Apriti cielo. In sua difesa sono insorti i colleghi: “E’ un capro espiatorio, tutte le colpe sono della politica”. Già, la politica. Che stavolta però non si è limitata..

La distanza che c’è
tra Giorgia e il Balilla

Giorgia Meloni ha appena riportato a casa Cecilia Sala, sequestrata dal regime iraniano, e il mondo le dà atto di avere compiuto un capolavoro di politica e diplomazia. E’ naturale che il suo popolo vada in delirio e che i suoi elettori la portino in trionfo. Eppure suggerirei ai patrioti siciliani di mostrarsi cauti, di non eccedere con la glorificazione. Finirebbero per rendere evidente l’enorme distanza che passa tra le eccellenti qualità della premier e la deprimente modestia della classe dirigente che Fratelli d’Italia esprime qui, dalle nostre parti. Il partito della Meloni non ha una politica regionale degna di questo nome e, soprattutto, non riesce a discostarsi dall’ossessione per il turismo. Ha partorito un cacicco: quel Manlio Messina che s’è inventato SeeSicily e altri sprechi, ma non ha un..

Chi casca nella rete
del superpagnottista

Lo scandalo non è il mezzo milione di euro che lui ha incassato in due anni dalla Regione. Maurizio Scaglione, dipinto da un giornale nazionale come il super pagnottista di Sicilia, non è un genio della comunicazione né un mago della finanza. E’ uno dei tanti faccendieri che girano per i palazzi del potere con l’unico obiettivo di agguantare una manciata di denaro pubblico. Gestisce pure un giornaletto che usa come miele per le mosche. Attira politici e grand commis, li intervista e gli fa credere di averli trasportati nel mondo fatato dell’informazione. Poi presenta il conto. Perché il suo fine ultimo è quello di rastrellare affidamenti e incarichi per le sue società. Lo scandalo non sta nella montagna di soldi che lui riesce a intascare ma nella vanità dei..

Se le ferraglie
gli sembrano oro

Forse gli splendori di Palazzo dei Normanni gli hanno appannato la vista. Sta di fatto che Gaetano Galvagno, presidente dell’Assemblea regionale, crede – paradossalmente crede – che la Sicilia stia vivendo “un momento d’oro”. Ma dove tiene gli occhi? Fuori dal Palazzo si accavallano i disastri. Per tutta l’estate i siciliani hanno tribolato per la siccità, un’emergenza che né lui né il governo di centrodestra hanno saputo risolvere. E a fine anno è esplosa la sanità: sia quella pubblica dei pronto soccorso e della gente che muore sulle barelle abbandonate nei corridoi; sia quella delle strutture convenzionate, sulle quali si è abbattuta la scure delle tariffe al ribasso imposte dal governo Meloni. Galvagno abbia la bontà di farsi un giro tra ospedali e ambulatori. Come Faraone, come Schifani o come..

Quelli che non sanno
che pesce pigliare

Il governo regionale tace perché, nonostante le promesse del presidente Schifani, non sa ancora che pesce pigliare. Scende in campo, in sua vece, Daniela Faraoni, manager dell’Asp di Palermo. La quale, nel tentativo di spaccare il fronte dei convenzionati colpiti duramente dal decreto sulle tariffe varato dal ministro Schillaci, chiede ai laboratori e agli ambulatori di applicare “senza soluzione di continuità” il nomenclatore che di fatto costringe gli operatori a licenziare una buona parte del personale o, peggio, a chiudere definitivamente l’attività. Il tono della nota diffusa dalla dottoressa Faraoni è molto duro: la manager lascia chiaramente intendere che un’eventuale insistenza delle strutture a non erogare le prestazioni potrebbe anche mettere in discussione l’accreditamento. La sanità, che non sa trovare le soluzioni, sa solo impartire ordini ed editti.

Ma per chi arde
la fiamma di Giorgia?

Era andata al governo con la fiamma tricolore, simbolo della destra sociale. Sovranista, certo. Ma soprattutto attenta ai bisogni dei più deboli. Dopo due anni, però, la destra di Giorgia Meloni quasi non si riconosce più. Lei, la premier, vola in Florida per incontrare Donald Trump e corteggia quel genio svalvolato di Elon Musk, che – manco a dirlo – vuole concludere con l’Italia un affare di un miliardo e mezzo di euro. Sul piano internazionale, la partita non è facile da giocare. Lei ci prova, ma dimentica spesso i guai dell’Italia. L’altro ieri, ad esempio, uno dei suoi ministri, quello della Sanità, ha varato un decreto sulle tariffe con il quale massacra, in una Regione disarmata come la Sicilia, le strutture convenzionate e mette a rischio il futuro di..

Sanità al disastro?
Si muove Schifani

Il presidente della Regione, Renato Schifani, prende in mano l’emergenza sanità. In settimana, con gli uffici di programmazione, verificherà se esistono le condizioni per superare quel maledetto piano di rientro che da diciotto anni impedisce ogni investimento e ogni ammodernamento delle strutture, sia pubbliche che private. Subito dopo, il governatore dovrebbe pure incontrare i rappresentanti degli ambulatori e dei laboratori convenzionati sui quali, il 30 dicembre, si è abbattuta la scure del nuovo tariffario – quello imposto dal ministro Schillaci – che riduce buona parte delle remunerazioni anche del cinquanta per cento e che, di fatto, spingerà non pochi professionisti a licenziare il personale o a chiudere, addirittura, l’attività. Per la traballante sanità siciliana sarebbe un colpo mortale. Il presidente Schifani vuole, evidentemente, evitare il disastro.

Pd e Cinque Stelle
uniti da un incanto

Lo sforzo che i due capigruppo dell’opposizione avrebbero dovuto fare era quello di formulare una domanda. La seguente: caro presidente Schifani, i suoi uffici di programmazione sono in grado di dirci in quale stagione potrà dirsi concluso il maledetto piano di rientro che da diciotto anni affligge e mortifica la sanità siciliana? Ma né Giuseppe Catanzaro, capo dei deputati del Pd all’Assemblea regionale, né Antonio De Luca, leader dei Cinque Stelle, hanno trovato la forza o la fantasia di vergare – si dice così, in politichese – uno di quegli atti parlamentari che, come il sigaro, non si nega a nessuno: un’interrogazione, appunto. Il motivo è facilmente intuibile. Questo fine anno è stato il tempo inebriante dell’inciucio e della spartizione delle mance. Né Catanzaro né De Luca né gli altri..

Qualcuno ha notizie
dell’opposizione?

Guardateli. Si aggirano tra i corridoi di Palazzo dei Normanni recitando la vecchia giaculatoria della legalità; ma appena annusano l’odore delle mance, distribuite a piene mani dal governo, diventano agnellini mansueti, pronti a qualunque inciucio. Oppure passano le ore e i giorni a piagnucolare dietro le tante emergenze che affliggono la Sicilia. Ma quando gli esplode davanti agli occhi la sanità, puntualmente si girano dall’altro lato. Pensate: non c’è stato un solo deputato del Pd o dei Cinque Stelle che abbia avuto il coraggio di scrivere una interrogazione per chiedere ai papaveri dell’assessorato quali sono le previsioni sul malefico “piano di rientro”, il macigno che da diciotto anni blocca gli investimenti. Per quanto tempo dovranno ancora patire gli operatori del settore? Diciamolo: alla Regione l’opposizione non esiste. E’ solo una..

Un disastro annunciato
con molti irresponsabili

La signora M.C. - sessantanove anni - stamattina era andata all’ospedale “Cervello” di Palermo per una trasfusione di sangue. Medici e infermieri l’hanno accolta con amorevolezza ma, dopo avere atteso per tre ore che si attivassero i computer, hanno alzato le mani e si sono arresi. Tutti i pazienti in attesa di assistenza sono stati rimandati a casa. Il sistema informatico era in tilt quindi non era possibile pagare il ticket né accedere alle altre procedure necessarie per attivare le prestazioni. Un delirio. Che ha non pochi colpevoli: primo fra tutti il decreto del ministro Schillaci sulle tariffe che non ha previsto i tempi di adeguamento ai nuovi codici. Pubblicato il 27 dicembre, è entrato in vigore il 30. Poteva sopperire la Regione ma i burocrati degli ospedali e delle..

Gerenza

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