Un ragazzo di bottega
sfruttato dal padrone

Guardate come brillano, sulla testa di Renato Schifani, i centoventi mila voti raccolti, col sangue e il sudore, da Edy Tamajo. Basta leggere l’intervista rilasciata al Giornale di Sicilia per capire che il presidente della Regione se li è cuciti addosso come un novello Napoleone – “Dio me li ha dati, guai a chi me li toglie” – e li indossa come fossero la corona del suo nuovo impero. Era un governatoricchio rimediato dalla misericordia di Ignazio La Russa e ora parla come fosse il reuccio di Forza Italia e dei partiti che hanno contribuito al successo delle “europee”. Aveva solo tre voti – quello di Marcello Caruso, di Pietro Alongi e di Andrea Peria – e ora si impanca come un Minosse che giudica e manda con i giri..

Ma per il vincitore
non c’è incoronazione

Se il buongiorno si vede dal mattino, non ci sono troppe illusioni da fare sul futuro politico di Edy Tamajo, soprannominato dai propri elettori “Mr. Centoventimila Preferenze”. Per rastrellare quella montagna di voti ha battuto ogni angolo di Sicilia, ogni via di Palermo, ogni vicolo di Mondello. E Dio solo sa quante mani ha stretto, quanti amici ha abbracciato, quanti inchini avrà fatto. Ma – almeno fino a oggi – non sembra che tanta fatica abbia prodotto trionfi e incoronazioni. Anzi. Il presidente della Regione ha tenuto subito a precisare che il vincitore delle europee, dopo la rinuncia a Bruxelles, resterà alle Attività Produttive e che un trasferimento nel ricco feudo della Sanità non è in programma. E allora? Chi conosce umori, rancori e gelosie di Renato Schifani avanza una..

Tajani, Tamajo, Schifani
tre attori per una beffa

Un bluff, una bugia, una finzione: sono le tre scene della beffa che Forza Italia ha voluto riservare alla Sicilia. Il bluff l’ha messo in piedi il segretario Antonio Tajani: ha spacciato per una figura nuova e rigenerante della politica Caterina Chinnici che era invece una professionista dell’antimafia in cerca di un terzo mandato parlamentare. La bugia l’ha costruita Edy Tamajo: ha rastrellato 121 mila voti promettendo impegno per l’Europa ma due settimane dopo ha deciso di barattare il successo con un assessorato regionale molto più redditizio: la sanità, forse. La finzione l’ha ordita Renato Schifani: si è messo in posa con Tajani, Tamajo e la Chinnici per far credere al popolo di Forza Italia che senza la sua benedizione la transfuga del Pd non sarebbe mai tornata a Strasburgo...

L’effetto Chinnici
si riversa su Tajani

Non è stata una scommessa vincente quella di Antonio Tajani. Anzi. Ci ha rimesso lui e ci ha rimesso pure lei, Caterina Chinnici, la professionista dell’antimafia che, per conquistare la terza legislatura all’europarlamento (e un vitalizio di 21 mila euro al mese) ha tradito il Pd, ha cambiato casacca e si è intruppata con i berluscones. Il segretario di Forza Italia, pur avendola candidata come capolista nelle Isole, non è riuscito a spezzare il patto tra Edy Tamajo e Renato Schifani. I due hanno preferito giocare in proprio, glissando le indicazioni di Tajani. Il quale non ci ha fatto una gran bella figura. Lo stesso vale per la Chinnici. Ora Tamajo ha annunciato che lascerà a lei il seggio di Bruxelles. Ma la transfuga del Pd, che Tajani aveva reclutato..

L’esempio fattivo
di un civil servant

Ha tirato l’aeroporto di Palermo dalla palude burocratica, ha completato i lavori di ristrutturazione e ha consegnato alla città un hub di livello internazionale: moderno, efficiente, strutturalmente al servizio di un traffico aereo sempre più incardinato con la società globale. Vito Riggio ha compiuto, da amministratore delegato, una missione straordinaria. E ci è riuscito grazie alla sua specifica esperienza e alla sua radicata cultura di civil servant. Ora l’aeroporto è in grado di camminare con le proprie gambe. Può scegliere di lasciarsi ammorbare ancora una volta dalle logiche del sottogoverno o di spiccare il salto verso la privatizzazione e verso più ambiziosi traguardi. Riggio, presentando ieri le dimissioni, l’ha detto chiaramente: per l’ordinaria amministrazione non c’è bisogno di lui. I suoi orizzonti sono altri. Il retrobottega non gli appartiene.

La famiglia allargata
del “Gruppo Balilla”

Lo chiameremo “Gruppo Balilla” non solo per ricordare lui, l’inventore di SeeSicily, il disastro che è costato alla Regione oltre venti milioni di euro; ma anche per una civettuola assonanza con il “Gruppo Barilla”, quello della pasta e del Mulino Bianco. Lo chiameremo così perché la confraternita non comprende più solo il boss e i gregari della corrente turistica di Fratelli d’Italia. La comitiva si è allargata e comprende – oltre ai complici del precedente governo – anche i fiancheggiatori che hanno reso e continuano a rendere al Balilla grandi servizi. C’è il tombale silenzio sullo scandalo imposto dal governatore Schifani; c’è l’ostinato rifiuto di un dibattito da parte del presidente dell’Ars, Galvagno; e c’è la devozione delle anime belle, dei puri e duri che un tempo inorridivano davanti al..

Occhiuto e Schifani
queste le differenze

Le anime belle si chiedono – con un po’ di ritardo, va da sé – perché il berlusconiano Roberto Occhiuto, presidente della Calabria, trova il coraggio di dire no all’autonomia differenziata mentre il berlusconiano Renato Schifani, governatore della Sicilia, si rimangia le poche parole di buon senso pronunciate in aprile al congresso di Forza Italia e si accoda a meloniani e leghisti. Anche le anime belle, dopo due anni, dovrebbero conoscere Schifani: è un ex presidente del Senato finito a Palazzo d’Orleans per grazia ricevuta; un politico privo di esperienza amministrativa; un equilibrista sempre in bilico tra rancori e culto dell’io. Occhiuto getta uno sguardo sul futuro della sua Calabria ed è legittimamente preoccupato. Schifani vive in funzione del suo gruppo di potere, del suo cerchio magico. Occhiuto è un..

Autonomia differenziata
e autonomia pietrificata

Come sono buoni i parlamentari della Lega. Per farci accettare la batosta dell’autonomia differenziata usano una parola magica: responsabilizzazione. Dicono che la competizione con le regioni più ricche del Nord spingerà quelle del Sud a svegliarsi dal torpore e dalla rassegnazione, ad abbandonare la logica dell’attesa, a mobilitare tutte le energie e le risorse per progettare, appaltare, e realizzare ogni opera di cui questa arsa e disperata terra ha bisogno. Insomma, per consolarci, ci invitano a scendere in piazza e ad abbattere Palazzo d’Orleans con la stessa furia con la quale i francesi assaltarono la Bastiglia. Dimenticano, gli zelanti figli del Nord, che in Sicilia vive e regna Renato Schifani. Un presidente pietrificato che, per nominare diciotto manager della sanità, ha impiegato un anno. Non lo smuove un’emergenza come la..

L’allegra compagnia
di scandali e markette

Non ci sono solo i grandi scandali come SeeSicily o Cannes. C’è anche uno scandalume diffuso, che ruota attorno a un esercito di pagnottisti, tutti riconducibili al sottobosco politico. Palazzo d’Orleans, che non riesce ad arginare l’opaco avvocato d’affari seduto alla sua destra, non ha ovviamente alcuna voglia di gettare gli occhi sui markettisti che traccheggiano con l’assessore Elvira Amata, a trazione Balilla, o con quello delle Infrastrtture pure lui affiliato alla corrente turistica di Fratelli d’Italia. E portano a casa contratti scandalosi. Pensate: il lobbista che si è attaccato come una sanguisuga al Consorzio per le autostrade, ha drenato 50 mila euro per il 2023. E pochi giorni fa, con un’altra società, ha chiuso un nuovo contratto di 120 mila euro. Per fare cosa? Leggete la delibera del vanesio..

L’omertà della politica
sullo scandalo di FdI

Sicilia 2019. Lo stato maggiore di Fratelli d’Italia impone a Nello Musumeci di defenestrare l’onesto Sandro Pappalardo e di mettere a capo del Turismo un gerarca spregiudicato che dilapida venti milioni di euro con una campagna – SeeSicily – inventata per spartire soldi agli albergatori, agli editori e agli amici degli amici. I dettagli sono documentati in un dossier dell’Unione europea e la giustizia farà certamente il suo corso. Rimane assente e omertosa la politica, cui spetta fare luce sui registi occulti dello scandalo. I Cinque Stelle insistono per un dibattito parlamentare ma Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars e fraternissimo amico del gerarca dilapidatore, non trova il tempo per incardinare la discussione. Tace il governo di Renato Schifani, tacciono le anime belle dell’antimafia e della libera stampa. Meglio una parola in..

Gerenza

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